Come funziona l’ispezione ipotecaria per immobile dell’Agenzia delle Entrate

L’ispezione ipotecaria telematica dell’Agenzia delle Entrate può adesso essere effettuata non solo per persona fisica e per nota, ma anche tramite ricerca per immobile. Una nuova modalità che fornisce un ulteriore servizio destinato alla consultazione dei registri immobiliari, l’analisi dei quali permette di risalire alla titolarità di un determinato bene e all’eventuale presenza di pesi o vincoli che ne possono limitare il godimento.

L’articolo 2673 del Codice Civile, “Obblighi del conservatore”, recita:

“Il conservatore dei registri immobiliari deve rilasciare a chiunque ne fa richiesta copia delle trascrizioni, delle iscrizioni e delle annotazioni, o il certificato che non ve ne è alcuna.

Deve, altresì, permettere l’ispezione dei suoi registri nei modi e nelle ore fissati dalla legge.

Il conservatore deve anche rilasciare copia dei documenti che sono depositati presso di lui in originale o i cui originali sono depositati negli atti di un notaio o in un pubblico archivio fuori della circoscrizione del tribunale nella quale ha sede il suo ufficio”.

Come effettuare l’ispezione ipotecaria per immobile

Il servizio di ispezione ipotecaria telematica dell’Agenzia delle Entrate si differenzia in base alla tipologia di utenza, alle diverse esigenze e alle finalità perseguite. Tutti i cittadini possono accedere a questo servizio, che è a pagamento, sul sito web dell’Agenzia seguendo questo percorso: Servizi > Fabbricati e Terreni > Ispezione ipotecaria online. E adesso, oltre all’ispezione per persona fisica e per nota, possono richiedere anche l’ispezione per immobile.

Per potervi accedere è sufficiente indicare il codice fiscale ed eventualmente un indirizzo di posta elettronica. Una volta selezionata la conservatoria – Area Servizi di pubblicità immobiliare – dove eseguire l’ispezione ipotecaria, è possibile scegliere la modalità di ricerca: per persona fisica, per nota e per immobile.

La ricerca per immobile prevede l’indicazione del Comune, del tipo di catasto (Fabbricati o Terreni), della sezione censuaria se presente e dei dati catastali identificativi definitivi (foglio, particella e subalterno). Una volta effettuato il pagamento, i risultati della ricerca sono disponibili nella sezione Elenchi Contabilizzati, dove è possibile visualizzare l’Elenco delle note, che possono essere acquisite tramite il pulsante Visualizza Note. Una volta eseguito il pagamento per le formalità selezionate, queste sono disponibili in formato pdf nella sezione Richieste.

Per poter effettuare l’ispezione ipotecaria telematica per immobile è necessario pagare, attraverso il sistema pagoPA, 9,45 euro per ogni immobile richiesto, comprensivo dell’elenco sintetico delle prime 30 formalità relative a quell’immobile reperite. E per ogni nota che si vuole visualizzare bisogna pagare 5,40 euro. I documenti richiesti sono disponibili fino a 10 giorni dal pagamento.

Borsino immobiliare: cos’è e perché è così importante

 

Il borsino immobiliare è un listino realizzato da tecnici del settore che raccoglie le informazioni sulle transazioni immobiliari effettuate in uno specifico territorio. Tali informazioni si rivelano fondamentali all’interno di un mercato in continua evoluzione, che varia notevolmente da una zona all’altra. Lo scopo di questo strumento è quello di fornire una stima del valore di mercato degli immobili. Ne possono fare un largo uso i professionisti del settore, come architetti e geometri, ma anche i semplici privati.

I dati riportati all’interno del borsino immobiliare sono pubblici e consultabili in ogni momento e per questo motivo vengono ampiamente utilizzati dalle agenzie del settore nel momento in cui un cliente richiede la valutazione di un immobile. I dati sono accessibili dai portali dell’Agenzia delle Entrate e vengono raccolti dall’OMI: scopriamo insieme che cos’è e quali informazioni gestisce.

OMI Agenzia delle Entrate: di cosa si tratta

L’OMI dell’Agenzia delle Entrate è la banca dati in cui vengono riportati i dettagli delle compravendite effettuate lungo tutto il territorio nazionale e che raccoglie le quotazioni degli immobili. OMI Agenzia Entrate è l’acronimo di Osservatorio del Mercato Immobiliare e il suo compito è dunque quello di restituire un’immagine quanto più fedele di un mercato in evoluzione continua e soggetto a frequenti stravolgimenti come quello immobiliare. Lo scopo dell’OMI è quello di garantire una certa trasparenza nelle quotazioni degli edifici e proprio per questo motivo vengono riportati svariati valori numerici e numerose informazioni utili a cui fare riferimento.

Questi dati offrono un’accurata fotografia del mercato immobiliare italiano e delle peculiarità di ogni singolo territorio, rappresentando un mezzo fondamentale per la valutazione di un immobile. I valori OMI dell’Agenzia delle Entrate sono utili poiché, oltre a riportare i dati di una determinata area, contengono anche informazioni specifiche riguardo alle fasce di prezzo e del valore degli immobili.

Tra gli elementi forniti dal borsino immobiliare si trovano anche:

  • tempi medi impiegati per la vendita;
  • margini di guadagno.

Un’altra informazione particolarmente rilevante per gli esperti del settore è il numero delle vendite effettuate in un determinato lasso di tempo, anch’esso riportato all’interno del borsino immobiliare.

Trovare i dati per il proprio comune

Il borsino immobiliare con le quotazioni per la propria città è disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate, nella sezione servizi, consultazione. Conducendo una breve ricerca su Internet con le parole chiave “borsino immobiliare agenzia delle entrate”, è possibile trovare in maniera semplice e rapida la pagina dell’Osservatorio Immobiliare. Il testo introduttivo contiene tutte le informazioni utili per una ricerca efficace, mentre al suo interno sono presenti delle guide e dei manuali che facilitano la consultazione anche per i meno esperti.

Prima di procedere alla ricerca testuale, è importante conoscere il tipo di informazioni restituite dal sistema. Innanzitutto, occorre sapere che tra tutte le città presenti all’interno della banca dati si trova anche un elenco dei comuni non disponibili a causa di eventi sismici e della nota sulla revisione decennale delle zone OMI dal 2014.

Va poi chiarito che cosa si intende per zona OMI, la quale altro non è altro che l’insieme del territorio di un intero comune. Il gestionale permette quindi di fare una ricerca per zona, restituendo un intervallo di valore in base ai metri quadri per tipologia di immobile. La valutazione di immobili diventa così più efficace e soprattutto utile per effettuare una compravendita o un contratto di locazione con la massima serenità. L’OMI ci permette infatti di conoscere lo stato di conservazione dell’immobile, per cui è sempre indicato quello prevalente. Lo stato conservativo non risulta invece indicato per posti auto e box, mentre per i locali commerciali si indicano soltanto i valori che riguardano l’intera unità immobiliare.

È utile sapere che la valutazione immobiliare del borsino restituisce tre criteri:

  • ottimo;
  • normale;
  • scadente.

Una volta conosciuti alcuni parametri del sistema, è possibile comprendere come si calcola il valore di un immobile e scoprire come iniziare ad usare questo strumento.

 

Sfratto per morosità: una guida completa

 

 

Lo sfratto per morosità è un procedimento giuridico che permette al locatore di riappropriarsi dell’immobile concesso in affitto in caso di mancato pagamento, da parte dell’inquilino, dei canoni d’affitto.

Che cos’è lo sfratto per morosità

Se l’inquilino non paga i canoni di locazione e le spese accessorie previste dal contratto, il locatore può avvalersi dello sfratto per morosità, un particolare procedimento giuridico disciplinato dall’art. 658 del Codice di procedura civile, per ottenere il rilascio del proprio immobile. Trattandosi di un procedimento speciale, è tendenzialmente più rapido rispetto ad altri procedimenti giuridici.

Simili per procedura e tempistiche, lo sfratto per morosità e lo sfratto per finita locazione sono due azioni legali che si differenziano per i casi in cui il locatore può richiederle. Lo sfratto per finita locazione, infatti, interviene quando, alla scadenza del contratto, l’inquilino non vuole lasciare l’immobile. Morosità e finita locazione possono presentarsi contemporaneamente. A questo proposito, una delle domande su cui aleggiano più dubbi riguarda il cumulo sfratto per morosità e finita locazione. Stando alla giurisprudenza più recente, è possibile richiedere congiuntamente lo sfratto per morosità e lo sfratto per finita locazione, purché la finita locazione venga subordinata alla morosità.

Quando si può fare lo sfratto per morosità?

Lo sfratto per morosità può essere richiesto purché sussistano determinati presupposti. Innanzitutto, è indispensabile che il contratto di locazione, ad uso abitativo o commerciale, sia regolarmente registrato presso l’Agenzia delle Entrate. Ne consegue che non è possibile ricorrere al procedimento di sfratto nel caso in cui la locazione si basi su un mero accordo verbale tra il proprietario dell’immobile e il conduttore.

Inoltre, per avvalersi della procedura di sfratto per morosità è fondamentale che si verifichi il mancato pagamento dei canoni d’affitto o degli oneri accessori. Nel caso di immobili ad uso abitativo, gli sfratti per morosità possono essere richiesti decorsi 20 giorni dalla data di scadenza di pagamento indicata nel contratto.

Il procedimento

Sapere quando si può fare lo sfratto per morosità è importante per agire nel modo corretto e far valere i propri diritti nei confronti di un inquilino che non paga. Nello specifico, per quanto riguarda il procedimento da seguire, la prima cosa che il locatore può fare è inviare al conduttore moroso una lettera di diffida per mezzo raccomandata A/R, in cui lo sollecita a pagare i canoni non versati, definendo un termine di scadenza, trascorso il quale dovrà lasciare libero l’immobile.

Se la diffida non sortisce gli effetti sperati, il proprietario di casa può agire con un atto di intimazione di sfratto per morosità. L’inquilino riceve la citazione in udienza per la convalida del procedimento ed, eventualmente, anche un’ingiunzione di pagamento per i canoni d’affitto scaduti. Nell’intimazione di sfratto per morosità è indicata la data in cui i soggetti coinvolti nel procedimento devono presentarsi in udienza. I termini a comparire in caso di sfratto per morosità che devono intercorrere tra la data di notificazione e quella dell’udienza sono di 20 giorni.

Cosa può fare il conduttore quando riceve l’intimazione di sfratto per morosità?

Quando il conduttore riceve l’intimazione di sfratto per morosità può presentarsi all’udienza e saldare il suo debito nei confronti del locatore, presentarsi e opporsi alla convalida, presentarsi e chiedere al giudice di beneficiare del termine di grazia oppure non presentarsi. Ecco cosa succede in ciascuno di questi casi:

  • il conduttore si presenta all’udienza e salda il suo debito: nel momento in cui il debito viene saldato, il procedimento di sfratto per morosità si ferma e viene chiuso;
  • il conduttore si presenta all’udienza e si oppone alla convalida di sfratto per morosità: in questo caso, il giudice rinvia l’esame delle cause di opposizione e il procedimento diventa un processo ordinario. In materia di sfratto per morosità, la riforma Cartabia ha introdotto un’importante novità: se l’opposizione del conduttore è infondata, il giudice può emettere immediatamente il decreto ingiuntivo;
  • il conduttore si presenta all’udienza e chiede al giudice il termine di grazia: il giudice valuta se concedere all’inquilino moroso tempo aggiuntivo, non superiore a 90 giorni, per saldare il suo debito. L’udienza viene rinviata;
  • il conduttore non si presenta: il giudice verifica il caso specifico e, se la condizione di morosità viene confermata, emette un’ordinanza di convalida di sfratto.

Il giudice, quando redige l’ordinanza di convalida di sfratto, stabilisce anche la data entro la quale l’inquilino deve lasciare l’immobile.

Cosa fare dopo la convalida di sfratto per morosità?

Quando viene emessa l’ordinanza di convalida di sfratto, se il conduttore non lascia l’immobile entro i termini stabiliti dal giudice, si procede con la notificazione di un atto di precetto. L’inquilino è obbligato a lasciare l’abitazione entro 10 giorni dalla data della notifica. Se ciò non avviene, il proprietario può procedere con la monitoria di sgombero. Si tratta di un intervento di esecuzione forzata che viene eseguita dall’ufficiale giudiziario, il quale si reca personalmente presso l’immobile per sfrattare l’inquilino moroso e restituire l’immobile al suo proprietario.

I tempi dello sfratto per morosità

Quando si cita in giudizio l’inquilino moroso, è naturale chiedersi, in caso di sfratto per morosità, quanto tempo passa prima di essere chiamati in udienza. Generalmente, la chiamata arriva entro un mese. Per riprendere possesso del proprio immobile, se il giudice convalida lo sfratto, il locatore deve attendere circa due o tre mesi dal giorno dell’udienza.

Se l’inquilino non lascia l’immobile entro il termine stabilito dal giudice, si procede con l’invio della notificazione di un atto di precetto. A questo punto, l’inquilino ha 10 giorni di tempo per lasciare l’abitazione. Trascorsi 10 giorni, se l’immobile non è stato ancora rilasciato, si procede con lo sfratto esecutivo, se necessario con l’ausilio della forza pubblica. In linea di massima, il procedimento di sfratto per morosità viene chiuso entro tre o quattro mesi.

CHECK UP IMMOBILE PRIMA DELLA VNDITA

Per evitare spiacevoli inconvenienti durante tutto il percorso di vendita di un immobile, a causa di irregolarità sullo stesso, ogni agenzia immobiliare ha il compito di effettuare il check up urbanistico.

Come ben sappiamo, ad oggi le legge prevede che, se l’immobile non risulta conforme dal punto di vista urbanistico, l’atto notarile risulterà  nullo.

La conformità urbanistica, riguarda la corrispondenza tra lo stato di fatto in cui l’immobile si trova ed il titolo abitativo con il quale è stato realizzato, oppure successivamente modificato.

Per verificare la presenza di un abuso sull’immobile, bisogna rivolgersi al Comune di riferimento, attraverso il titolo abitativo.

I titoli abitativi posso essere:

  • LICENZA EDILIZIA
  • CONCESSIONE EDILIZIA
  • PERMESSO A COSTRUIRE
  • CONDONO
  • DIA CIA CILA

La conformità urbanistica ed edilizia di un immobile, è di fondamentale importanza ai fini della compravendita, in quanto determina la commercialità o meno dell’immobile stesso.

Le difformità urbanistiche, a volte possono creare non poche difficoltà, soprattutto per le tempistiche, in quanto possono essere di non facile individuazione, in modo particolare per chi non ha un occhio esperto, o non è del settore.

Per verificare la regolarità urbanistica ed edilizia di un immobile, si fa riferimento all’ultimo titolo abitativo conseguito, anche se di buona regola, sarebbe meglio verificare tutti i titoli abitativi ottenuti nel tempo ed inerenti all’immobile, dalla costruzione fino al momento della verifica.

Ricordiamo infine che, la regolarizzazione urbanistica, anche in caso di compravendita, spetta al proprietario – veditore dell’immobile. Ovviamente il check up permette al proprietario di procedere alla vendita in maniera sicura ed al futuro acquirente di comprare con più serenità.

 

PROVVIGIONE ALL’AGENZIA IMMOBILIARE: QUANDO SI PAGA, CHI DEVE PAGARLA E QUAL È IL COMPENSO

l supporto di un’agenzia immobiliare è fondamentale per l’acquisto, la vendita o l’affitto della casa.

Come per tutti i servizi, anche in questo caso esistono diritti e doveri sanciti dalle norme.

Il cliente spesso si pone alcuni interrogativi.

Ad esempio: quando va pagato l’agente immobiliare? Chi deve pagarlo e cosa succede se l’atto, ossia il rogito notarile, o il contratto di locazione non si concludono?

Facciamo chiarezza su questi punti.

Mediazione professionale dell’agente immobiliare: come funziona?

La giurisprudenza chiarisce gli aspetti che riguardano il diritto alla provvigione spettante all’agenzia immobiliare.

Il lavoro dell’agente immobiliare si configura come mediatore tra le parti, ossia tra venditore e acquirente, o locatore e affittuario.

Secondo la Legge, per il fatto di aver messo in contatto le parti, al mediatore spetta il diritto ad ottenere una provvigione.

Chi paga la provvigione?

A prescindere da chi si sia rivolto per primo all’agenzia, il pagamento della provvigione, nella maggior parte dei casi, è a carico di entrambe le parti, ossia venditore e acquirente o locatore e affittuario. A meno che non ci siano patti diversi e scritti.

Quando si paga l’agenzia immobiliare: il diritto alla provvigione

Secondo la giurisprudenza, il diritto alla provvigione scatta appena tra le parti si forma un vincolo giuridico che le impegna a concludere l’affare.

Nel caso di acquisto di un immobile, il vincolo è costituito dal compromesso, vale a dire il contratto preliminare. Per la Cassazione, questo contratto è un vincolo giuridico.

Firmare il compromesso non significa necessariamente che si debba stipulare un rogito.

Il mediatore non risponde della stipula o meno dell’atto finale. A questo punto ha già fatto il suo dovere.

Al mediatore spetta la provvigione anche se l’affare tra le parti si conclude a scadenza del contratto.

Il suo diritto alla provvigione vale un anno dalla conclusione del contratto preliminare.

Quando la trattativa di vendita di una casa non si conclude: i casi

Se l’affare sfumasse per colpa del mediatore, in questo caso non gli andrebbe corrisposta alcuna provvigione.

Ad esempio, quando vengono omesse delle irregolarità urbanistiche dell’immobile.

È POSSIBILE CANCELLARE IL PIGNORAMENTO IMMOBILIARE?

Nel caso in cui si fosse chiesto un finanziamento e si dimostrasse, nel tempo, di non essere in grado di pagare il debito si rischierebbe di perdere la casa a causa di quel processo conosciuto come pignoramento immobiliare.

Il pignoramento immobiliare è una pratica più che consolidata quando si parla di finanziamenti o mutui, soprattutto nel caso in cui si fosse utilizzata la proprietà immobiliare a garanzia del prestito.

Ma, nonostante al momento della sottoscrizione del finanziamento si sia perfettamente a conoscenza di questa possibilità, il pignoramento si ritiene sempre un avvenimento remoto che non si è quasi mai preparati ad affrontare.

Viene quindi da chiedersi “è possibile cancellare un pignoramento?” Vediamolo insieme.

Come cancellare un pignoramento?

Solitamente il pignoramento scatta come conseguenza di un debito non saldato dopo il fallimento sia della rateizzazione sia del versamento in un’unica soluzione. Come “ultima spiaggia”, scatta il pignoramento, che può essere cancellato mediante tre opzioni:

  • la prima, e più ovvia, vede il pagamento del debito;
  • la seconda passa attraverso la stipula di un secondo accordo con il creditore;
  • la terza prevede l’opposizione al pignoramento mediante autorizzazione del giudice.

Senza considerare la prima via, la cui impossibilità di realizzazione è quasi sempre la causa dell’attivazione del pignoramento, è possibile:

 

  • stringere a un accordo col creditore, e valutare nuove modalità di pagamento con un’eventuale riduzione della somma finale, una possibile riduzione della cifra delle rate o un allungamento delle tempistiche. Nel caso in cui si riuscisse a sottoscrivere un nuovo accordo il creditore potrà revocare il pignoramento;
  • opporsi con l’autorizzazione del giudice dimostrando l’infondatezza delle ragioni del creditore.

Cancellare un pignoramento dell’Agenzia delle Entrate

Chiaramente quanto detto finora riguarda specificatamente casi di pignoramento effettuati da enti privati. Vediamo ora cosa fare in caso di pignoramenti attivati dell’Agenzia delle Entrate.

Questo evento si verifica abbastanza raramente e solitamente riguarda solo:

  • gli immobili successivi alla prima casa;
  • debiti superiori a 120.000 euro.

In questo caso per richiedere la cancellazione del pignoramento si dovranno pagare l’imposta ipotecaria, l’imposta di bollo e la tassa ipotecaria per un totale di 294 euro e per cancellare alcune annotazioni (come domande giudiziali, atti dichiarati nulli, annullati, risolti, rescissi e revocati) sarà poi necessario rispettare i 30 giorni dalla data dell’atto di rifermento.

CILA o SCIA? Le caratteristiche dei permessi per interventi edilizi

 

CILA o SCIA? Che si tratti di manutenzione straordinaria o ordinaria, i soggetti che desiderano svolgere dei lavori edilizi nel proprio edificio o unità immobiliare necessitano di uno di questi permessi. Capita spesso di non riuscire a fare distinzione tra le due documentazioni.

Cerchiamo di fare chiarezza sulle caratteristiche e i contesti in cui adoperare le autorizzazioni e quando optare per la CILA o la SCIA.

Che differenza c’è tra SCIA e CILA? 

Quando si tratta di attività edilizia, è essenziale ottenere i permessi necessari da trasmettere al Comune con firma di un tecnico abilitato per garantire la conformità legale dei lavori in atto. I documenti in questione sono tre:

  • SCIA (Segnalazione certificata di Inizio Attività); 
  • CILA (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata);
  • Permesso di costruire.

 

La SCIA viene richiesta per i lavori che impattano gli elementi strutturali e la sagoma dell’edificio, mentre la CILA riguarda essenzialmente i lavori effettuati all’interno degli immobili che non riguardano le componenti strutturali dell’edificio.

Il permesso di costruire, infine, è un titolo abilitativo che viene utilizzato per le nuove costruzioni, le ristrutturazioni urbanistiche e per le modifiche di volumetria ed il cambio della destinazione d’uso.

 

Più nello specifico, la SCIA deve essere utilizzata quando si interviene sulle componenti strutturali dell’immobili e, dunque, riguarda principalmente i seguenti interventi:

  • Opere di manutenzione straordinaria che coinvolgono parti strutturali dell’edificio;
  • interventi di restauro e risanamento conservativo sulle parti strutturali dell’edificio;
  • ristrutturazione edilizia che non richiede il permesso di costruire.

D’altra parte, i lavori che rientrano nella CILA riguardano la manutenzione ordinaria e straordinaria che non impattano sugli elementi strutturali dell’edificio, non intervengono con la finalità di cambio della destinazione d’uso dell’unità e per i quali non è richiesto il permesso di costruzione.

In particolare, si tratta delle seguenti tipologie di lavori:

  • Manutenzione straordinaria di tipo “leggero”;
  • eliminazione di barriere architettoniche;
  • restauro e risanamento conservativo di tipo “leggero”;
  • interventi edilizi che non rientrano nell’edilizia libera, SCIA o permesso di costruire;
  • rinnovo o sostituzione di parti dell’edificio;
  • installazione o integrazione di servizi tecnologici e igienico-sanitari.

Infine, quando si tratta di accorpamento o frazionamento tra SCIA e CILA viene richiesta quest’ultima, purché la divisione o unione delle unità immobiliari non comporti modifiche alla volumetria complessiva degli edifici o il cambio della destinazione d’uso originaria.

CILA o SCIA? I costi da sostenere per ottenere i permessi 

Le pratiche edilizie esaminate fino ad ora non sono gratuite. I costi per CILA e SCIA possono essere influenzati dai seguenti fattori:

  • Complessità dell’intervento da effettuare;
  • Tipologia e dimensioni dell’immobile;
  • Tariffe applicate dal Comune o dalla Provincia competente.

In aggiunta a tali fattori, per individuare i costi di CILA e SCIA totali è necessario valutare l’entità delle spese relative al tecnico abilitato, ovvero un geometra, un ingegnere, architetto o perito industriale, che si occuperà della redazione del documento.

Volendo fare una stima, quanto costano Cila e Scia? Il costo della CILA si aggira attorno ai 500€ mentre la SCIA invece può essere pagata circa 700€. Infine, la pratica più costosa è il permesso di costruire, che può raggiungere anche i 1.500€.

CILA o SCIA in sanatoria: normativa e sanzioni

La CILA e SCIA in sanatoria sono entrambi procedimenti previsti dalla legge per la regolarizzazione di opere edilizie già in corso o già realizzate in difformità dalla normativa urbanistica.

La CILA in sanatoria viene presentata quando i lavori sono già iniziati e comporta il pagamento di una sanzione pecuniaria pari ai ⅔ della sanzione prevista per la mancata presentazione, ovvero circa 333,33 euro anziché 1.000 euro.

La SCIA in sanatoria, invece, permette di regolarizzare opere edilizie già realizzate in difformità, a patto che siano compatibili con i piani e i regolamenti vigenti.

In caso di mancata presentazione della SCIA o di realizzazione in difformità con la normativa urbanistica, è prevista una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile e comunque non inferiore a 516 euro.

Nel caso di interventi di restauro e risanamento conservativo su immobili vincolati, è previsto il ripristino dello stato dei luoghi e una sanzione che va da 516 euro a 10.329 euro.

Ad ogni modo, la regolarizzazione delle opere edilizie CILA e SCIA in sanatoria permette di evitare sanzioni più pesanti e di avere la certezza che i lavori siano conformi alla normativa vigente.

Impianto fotovoltaico a isola: cos’è e perché vale la pena installarlo

Impianto fotovoltaico a isola: cos’è e perché vale la pena installarlo

Un impianto fotovoltaico off-grid o stand-alone, più comunemente conosciuto come impianto fotovoltaico a isola, è un sistema autonomo che produce energia, in grado di alimentare esclusivamente le utenze a cui è direttamente collegato.

Questi impianti sono abbinati a delle batterie di accumulo che, immagazzinando l’energia in surplus prodotta durante le ore di sole, la rendono disponibile nel corso di tutta la giornata.

Scopriamo tutte le caratteristiche dell’impianto fotovoltaico a isola, approfondendo il suo funzionamento ed i costi annessi.

Impianto fotovoltaico a isola: come funziona

L’installazione di un impianto fotovoltaico a isola, consente di raggiungere una totale autonomia energetica dalla rete nazionale.

In genere, i sistemi off-grid vengono installati presso abitazioni prive di contatore o, più in generale, su impianti elettrici fisicamente separati dal contatore.

Gli impianti fotovoltaici a isola raccolgono i raggi solari e, grazie all’azione di un inverter e di celle fotovoltaiche, producono l’elettricità necessaria al funzionamento delle utenze collegate. A chi installa questo tipo di strutture viene dunque garantita una totale indipendenza dalla rete elettrica nazionale anche nel corso delle ore di buio.

Generalmente, un impianto fotovoltaico a isola è composto da cinque elementi imprescindibili:

  • moduli fotovoltaici: queste strutture catturano i raggi solari per poi convertirli in energia elettrica, da distribuire e adoperare nelle singole unità abitative;
  • batterie ad accumulo: sono essenziali negli impianti a isola poiché conservano l’energia accumulata nelle ore di sole, in modo da poterla sfruttare in ogni momento della giornata e con ogni condizione di irraggiamento;
  • inverter fotovoltaico: è il vero cuore dell’impianto e rende l’energia fruibile convertendo la corrente continua in corrente alternata;
  • struttura di sostegno: determina la stabilità dell’intero impianto e assicura l’inclinazione più efficace, al fine di catturare il massimo irraggiamento solare possibile;
  • regolatore di carica: questo elemento filtra l’energia raccolta dai pannelli solari al fine di renderla compatibile con l’impianto.

Si consiglia inoltre di dotare gli impianti stand-alone di un generatore elettrico di backup, un sistema che garantisce l’alimentazione delle utenze anche in caso di emergenza.

Impianto fotovoltaico a isola: è legale?

La realizzazione di un impianto fotovoltaico a isola è totalmente legale in Italia e non deve essere accompagnata da una richiesta di connessione al gestore di rete. Nonostante ciò, è necessario rispettare delle specifiche normative affinché il sistema risulti conforme alle regole vigenti.

Per quanto riguarda i sistemi fotovoltaici isolati, gli impianti devono essere formati esclusivamente da componenti certificabili e realizzati secondo le direttive della normativa CEI EN 62124 – Sistemi fotovoltaici isolati della rete Verifica di progetto.

Non servono dunque particolari autorizzazioni per installare un impianto fotovoltaico a isola. Tuttavia, i possessori di impianti con potenza nominale maggiore di 20 kWp hanno l’obbligo di presentare la denuncia di officina elettrica all’Ufficio Tecnico delle Imposte di Fabbricazione dell’Agenzia delle Dogane per provvedere al pagamento delle accise sull’energia elettrica prodotta.

In ogni caso, l’installazione di questi dispositivi deve essere eseguita con il supporto di un team di esperti, i quali potranno accertarsi della sicurezza e dell’efficienza del fotovoltaico posizionato.

Impianto fotovoltaico: isolato o ibrido?

Può accadere di confondere i sistemi “a isola” con gli impianti cosiddetti “ibridi”, ma è necessario sapere che si tratta di due strutture profondamente differenti. Un impianto fotovoltaico a isola ibrido è tecnicamente simile a quelli installati su utenze allacciate alla rete nazionale, e quindi con un contatore attivo, ma ne fa uso soltanto per prelevare l’energia residuale non garantita dall’impianto fotovoltaico e dalle batterie.

In altre parole, i sistemi fotovoltaici a isola ibridi differiscono dagli stand-alone per il collegamento alla rete elettrica nazionale, dalla quale prelevano energia soltanto in casi emergenziali e senza immissioni in rete. Occorre tuttavia sapere che questi impianti, anche se tecnicamente realizzabili e spesso richiesti dagli utenti, non sono consentiti dalla normativa CEI-021, ad eccezione di alcune casistiche specifiche concordate con il distributore.

Quanti kW produce un impianto fotovoltaico da 6 kW in inverno?

Come è logico immaginare, la produzione invernale di un impianto fotovoltaico da 6 kW si abbassa se comparata con il resto dell’anno. Partendo da un rendimento medio di 8.000 kWh l’anno, ovvero circa 21,9 kWh al giorno, durante l’inverno la produzione può scendere fino a 2,2-6,5 kWh al giorno.

Quando piove il fotovoltaico funziona?

Anche quando il tempo è coperto o piove, il sole riesce comunque a raggiungere i moduli fotovoltaici anche se, ovviamente, la produttività ne risente. Tendenzialmente, però, i pannelli fotovoltaici in condizioni di tempo nuvoloso sono in grado di produrre il 10-25% della loro capacità nominale.

Quando è nuvoloso il fotovoltaico funziona?

Allo stesso modo, i pannelli fotovoltaici di ultima generazione, grazie a cellule molto sensibili, riescono a produrre energia elettrica, seppur in maniera limitata, anche nelle giornate più nuvolose e con meno luce.

Quali tasse si pagano per la vendita della casa? La guida completa

Le modalità di pagamento delle tasse per la vendita della casa

Decidere di vendere un immobile comporta per il venditore l’obbligo di pagamento di alcune imposte, regolate diversamente a seconda che si tratti della prima o della seconda casa e a seconda degli anni trascorsi dall’acquisto. Il versamento relativo alle tasse per la vendita della casa non è obbligatorio in alcuni casi, come vedremo più avanti.

Generalmente, esistono due opzioni tra cui il venditore può scegliere al fine di pagare correttamente le tasse per la vendita della casa, ovvero:

  • il regime di tassazione ordinaria;
  • l’imposta sostitutiva.

La tassazione ordinaria consente al venditore di calcolare le tasse per la vendita della casa attraverso le comuni aliquote IRPEF, divise in scaglioni per le persone fisiche. Ciò significa che la plusvalenza generata dalla vendita dell’immobile, ovvero il guadagno ottenuto dal proprietario, viene tassata direttamente in sede di dichiarazione dei redditi inserendo la plusvalenza sotto la voce “redditi diversi”. Gli scaglioni, con le relative aliquote, sono individuati come segue:

  • per i redditi inferiori o pari a 15.000 euro, l’aliquota è fissata al 23%;
  • per i redditi compresi tra 15.001 e 28.000 euro, l’aliquota è del 27%;
  • per i redditi compresi tra 28.001 e 55.000 euro, l’aliquota è pari al 38%;
  • per i redditi compresi tra 55.001 e 75.000 euro, l’aliquota è del 41%;
  • per i redditi di valore superiore a 75.001 euro, l’aliquota è del 43%.

L’imposta sostitutiva, invece, prevede una tassazione sulla vendita dell’immobile separata con aliquota al 26%. Al fine di richiedere l’applicazione dell’imposta sostitutiva, è necessario un atto del notaio, per cui possono essere previste ulteriori imposte per l’Agenzia delle Entrate nell’ambito dello svolgimento delle pratiche relative alle tasse per la vendita della casa.

Quando bisogna pagare le tasse sulla vendita della casa?

Quando si tratta di tasse per la vendita della casa è necessario fare un’importante distinzione tra:

  • la vendita della casa prima che siano trascorsi 5 anni dall’acquisto;
  • la vendita della casa dopo 5 anni dall’acquisto.

Nel primo caso, pagare le tasse sulla vendita dell’immobile è obbligatorio. La ragione per cui il Fisco impone il pagamento delle tasse sulla vendita della casa riguarda il rischio di speculazione derivante dalla plusvalenza. Se il proprietario intende speculare sulla vendita, interviene la tassazione sul guadagno ottenuto.

Nel secondo caso, se il proprietario che intende vendere possiede l’immobile da più di cinque anni, è esonerato dall’obbligo del pagamento delle imposte. Oltre a questa eventualità, vi sono ulteriori circostanze in cui non è necessario pagare le tasse sulla vendita della casa, ovvero:

  • quando il proprietario ha acquistato la proprietà mediante successione ereditaria;
  • quando il proprietario ha acquistato la proprietà mediante donazione;
  • quando il proprietario ha assunto come residenza l’immobile che desidera vendere per oltre metà del tempo decorrente dalla data di acquisto.

Pertanto, l’obbligo di pagare le tasse sulla vendita dell’immobile è individuato sulla base di diversi criteri, come il tempo trascorso dalla data di acquisto, la modalità di acquisto dell’immobile e la persona che ha vissuto all’interno dell’immobile.

Le imposte da pagare per vendere la prima casa

Le tasse sulla vendita dell’immobile vengono distinte a seconda che si tratti della prima casa acquistata o della seconda casa. Le tasse di vendita della prima casa dipendono dal momento in cui si procede alla cessione della casa. Nello specifico:

  • se la vendita avviene dopo che siano trascorsi 5 anni dall’acquisto, il proprietario è esente dal pagamento del sistema di tassazione della vendita dell’immobile;
  • se la vendita avviene prima che siano trascorsi 5 anni dall’acquisto, le tasse di vendita dell’immobile sulla plusvalenza sono obbligatorie, a meno che non si tratti di un immobile in cui il proprietario ha avuto residenza per la maggior parte degli anni o qualora lo stesso proprietario abbia ricevuto la casa in donazione o tramite successione ereditaria.

Inoltre, se al momento dell’acquisto il proprietario ha usufruito di agevolazioni per la prima casa, la plusvalenza generata dalla vendita prima che siano trascorsi 5 anni comporta la perdita del beneficio tramite il pagamento delle tasse di vendita sulla prima casa.

Le imposte dovute per la seconda casa

Secondo un meccanismo simile a quello previsto per le prime case, la vendita della seconda casa dopo 5 anni non è soggetta all’obbligo di pagamento delle imposte e, al contrario, la vendita della seconda casa prima dei 5 anni comporta il pagamento delle tasse di vendita della casa.

Qualora la vendita della seconda casa prima che siano trascorsi 5 anni dall’acquisto comporti una plusvalenza, l’entità delle tasse di vendita della seconda casa dipende sempre dal regime di tassazione scelta, la tassazione ordinaria o l’imposta sostitutiva.

Le tasse sulla vendita di immobile fra privati, nel caso dell’acquisto delle seconde case esenti da agevolazioni, comporta il pagamento di un’imposta di registro del 9% del prezzo d’acquisto o del valore catastale oltreché l’imposta ipotecaria e catastale del valore totale di 100 euro. Anche in questo caso, i costi possono essere divisi tra vecchio e nuovo proprietario dell’immobile.

Come funzionano le tasse di vendita di un immobile ereditato?

Le norme vigenti sono sensibilmente diverse se si tratta del calcolo delle tasse per chi vende una casa ereditata. Per cui la prima cosa da fare è procedere con la dichiarazione di successione. A differenza dei casi precedentemente analizzati, la vendita di un immobile ereditato prima dei 5 anni non prevede l’obbligo di pagamento delle tasse di vendita.

Nel caso opposto, ovvero dopo i 5 anni, è necessario pagare le tasse di vendita della seconda casa ereditata. Tuttavia, la base imponibile può essere calcolata utilizzando il metodo del prezzo-valore. In altre parole, per capire quanto costa vendere una casa ereditata è necessario fare distinzione tra i momenti della vendita e procedere con la dichiarazione di successione.

 

Quanto tempo ci vuole per vendere una casa?

Il proprietario dell’immobile desidera concludere la vendita nel minor tempo possibile, nella realtà però, subentrano diverse variabili difficilmente prevedibili. I fattori che influiscono sulle tempistiche di vendita sono differenti: il mercato, il servizio e il prezzo sono gli elementi principali che determinano in quanto tempo è possibile vendere una casa.

I fattori che influenzano le tempistiche di vendita di un immobile sono:

  • la posizione dell’immobile;
  • il tipo di immobile;
  • la condizione della casa;
  • il prezzo di vendita;
  • il mercato immobiliare;
  • la stagionalità;
  • la fortuna.

Posizione dell’immobile 

La posizione dell’abitazione è un elemento rilevante, influenzando la tempistica di vendita. Ogni luogo ha le sue peculiarità, e possiamo contraddistinguere alcune macro-categorie, tra cui:

  • grandi città: solitamente una casa situata in grandi metropoli come Milano, Roma, e Firenze, è vendibile senza troppe difficoltà. Inoltre, anche le zone limitrofe e ben collegate con i trasporti sono terreno fertile di vendita;
  • luoghi turistici: luoghi di mare o di montagna sono allettanti per i compratori, nonostante le tasse sulle seconde case e il desiderio da parte delle nuove generazioni di trascorrere le vacanze sempre in luoghi differenti, non volendo avere un posto fisso;
  • poli industriali e universitari: gli immobili in queste zone sono molto richiesti, compreso chi, ha in progetto di acquistare l’abitazione per poi affittarla a lavoratori e studenti;
  • zone periferiche: nelle aree che non presentano particolari attrazioni, vendere una casa potrebbe richiedere tempi più lunghi.

Nelle zone periferiche, si registra una costante diminuzione di popolazione, riflettendosi anche sui tempi necessari di vendita.

Inoltre, la presentazione della casa è molto importante per la sua vendita. Una casa ben presentata può essere venduta rapidamente, mentre una mal presentata può rimanere sul mercato per mesi. Con poche migliorie, come svuotare, rimuovere gli oggetti inutili, tinteggiare, inserire punti luce strategici e piccoli dettagli d’arredo, è possibile rendere la casa più attraente per i potenziali acquirenti.

Il prezzo di vendita

Il prezzo è un elemento molto significativo nella tempistica di vendita. Per questo motivo, Nel caso in cui non si avesse fretta di vendere l’abitazione, si potrebbe richiedere un sovrapprezzo. Solitamente però, questa strategia non funziona, in quanto l’attesa spesso si riflette in una perdita economica, di conseguenza è consigliabile venderla il prima possibile.

Le fasce di prezzo sono 3:

  • fascia di prezzo rivolta agli speculatori immobiliari;
  • fascia di prezzo che rispecchia il reale valore di mercato;
  • fascia di prezzo a cui è disposto pagare solo chi si innamora dell’abitazione.

Vendere agli speculatori immobiliari non richiede troppo tempo, specialmente se ci si trova in una grande città, viceversa per cedere un’abitazione al di sopra del valore di mercato, è possibile che la tempistica si raddoppi.

Condizioni di mercato e stagionalità

Il mercato immobiliare è ciclico, ciò significa che ci sono periodi in cui il mercato è caldo, viceversa ci sono momenti in cui è più difficile vendere. Lo stato di salute del mercato immobiliare è visibile anche dal tempo di vendita di un’abitazione; infatti, un mercato caldo ha una domanda alta, offerta bassa e prezzi in crescita, sicuramente in questo caso il venditore è avvantaggiato.

Fortuna

La fortuna è un ulteriore elemento da prendere in considerazione quando si vende un immobile, può essere che la casa abbia un prezzo sopra la media ma qualcuno se ne innamori e sia disposto a pagarla con un sovrapprezzo, viceversa potrebbe essere la casa perfetta ma non essere notata e non ricevere il giusto riconoscimento.

Quanto tempo ci vuole per vendere una casa?

Prevedere quanto tempo richiede la vendita di una casa non è così semplice, per vendere un immobile bisogna:

  • avere parametri positivi e adottare una strategia vincente, in questi casi potrebbe richiedere qualche settimana fino a due mesi;
  • se la situazione è nella media passano dai tre ai sei mesi;
  • nel caso in cui i parametri non fossero favorevoli, si potrebbe impiegare da sei mesi ad un anno. Il suggerimento è quello di rivedere la strategia di vendita, il prezzo o la comunicazione;
  • ottimizzare il processo di vendita è essenziale nei casi in cui i tempi superino l’anno;

Infine, se la casa è in vendita da oltre due anni e non c’è ancora stato nessun potenziale acquirente disposto a comprarla, probabilmente il prezzo è fuori mercato o la strategia di vendita è sbagliata, ma nulla che non si possa risolvere sistemando i parametri.

Sette diversi modi per acquistare casa

 

Se acquistare casa resta il sogno degli italiani, è anche vero che non sempre si hanno i fondi necessari per farlo. Ecco allora qualche consiglio per comprare casa, se non proprio senza soldi, almeno avendo una disponibilità di liquidi minima. Per coronare un sogno anche se non si è esattamente ricchi come Paperone.

Acquistare la prima casa con un mutuo

Tendenzialmente per comprare una casa di medie dimensioni occorre preventivare una spesa minima di 150-200 mila euro, ovviamente a seconda della zona in cui ci si trova.

La strada più semplice può essere quella del mutuo, in un momento in cui i tassi sono estremamente favorevoli e il rimborso delle rate risulta quindi poco costoso; ma è anche vero che è difficile trovare un mutuo che finanzi tutta o gran parte della cifra da sborsare, in assenza di adeguate garanzie.

Bisogna considerare che, se pur si riesce ad ottenere un mutuo che copre l’80% del costo dell’immobile, significa dover anticipare il 20% della cifra; per un immobile da 200 mila euro parliamo di 40 mila euro (ovvero per lo meno due anni di stipendio per un giovane), al netto delle altre spese legate alla pratica del mutuo e dell’acquisto in sé.

Come comportarsi allora? Quali altre alternative considerare per comprare casa senza avere soldi?

 

Mutui acquisto casa al 100%

Se non si dispone di tutti i soldi necessari per comprare casa, si può considerare di stipulare un mutuo al 100 per cento.

Sebbene non tutte le banche siano disposte a finanziare più dell’80% del prezzo della casa o del suo valore stimato, alcune sono più flessibili nelle condizioni e possono raggiungere il 90 o il 95 per cento.

Nonostante l’offerta sia molto limitata, esistono anche mutui che finanziano il 100% dell’operazione, sebbene le banche di solito stabiliscano tassi di interesse più elevati rispetto ai prestiti standard a causa del rischio che comportano.

Di solito inoltre, a maggiore garanzia, richiedono l’acquisto di prodotti aggiuntivi, come l’assicurazione contro la perdita del lavoro o contro altre circostanze che possono impedire il pagamento del mutuo.

 

Mutuo prima casa con garante

Un’altra possibilità è disporre di qualcuno che si presti a fare da garante per il mutuo prima casa. In questo caso si possono stipulare mutui anche al 100 per cento, ma con la garanzia, da parte delle banche, che il garante possa subentrare nei pagamenti qualora il mutuatario non dovesse farcela con le sue sole forze.

 

Mutuo prima casa con garanzia statale

 La prossima legge di Bilancio ha confermato la misura che consente ai giovani under 36 con Isee inferiore a 40 mila euro di chiedere un mutuo con garanzia statale fino all’80 per cento.La misura verrà prorogata fino al 2023, con possibilità di giungere fino al 100 per cento e di ottenere nuovi sgravi fiscali relativi alle imposte legate alla pratica e alla compravendita della prima casa.

Integrare il mutuo di acquisto casa con un prestito personale

 Un modo per poter comprare casa senza avere sufficienti risparmi è quello di richiedere un prestito personale alla stessa banca o finanziaria che ci concede il mutuo, o con una diversa, per ottenere l’importo residuo.Tuttavia, questa opzione comporta dei rischi e richiede di effettuare correttamente i calcoli in anticipo in modo che il cliente possa assicurarsi di essere in grado di pagare contemporaneamente il prestito e il mutuo, per evitare il sovraindebitamento.Inoltre alcune banche possono negare il mutuo se vedono che i risparmi conferiti provengono da un prestito personale recente, quindi il cliente potrebbe ottenere il prestito personale, ma vedersi negare il mutuo.

 

Acquistare una casa in costruzione

 L’opzione di acquisto casa da un costruttore consente di acquistare la casa prima che sia finita, o anche prima che la costruzione sia iniziata, il che permette di pagare le rate poco alla volta fino a raggiungere quel 20% del prezzo che mediamente le banche non finanziano con il mutuo.

Si risparmia inoltre sulle imposte e risparmiare per pagare le tasse: acquistando da soggetto costruttore la prima casa, con le agevolazioni attuali, si potrà versare un’imposta di registro del 2% e un’Iva del 4% (anziché del 10)

 

Affitto con riscatto

 In linea di massima, la formula dell’affitto con riscatto consiste nella sottoscrizione di un contratto di locazione che garantisca che, trascorso un certo periodo di tempo, l’acquirente abbia diritto di acquistare la casa ad un prezzo preventivamente concordato con il proprietario, scontando l’importo che ha pagato tramite il canoni mensili fino a quel momento.

Questa opzione presenta vantaggi sia per l’inquilino e futuro acquirente, sia per l’attuale proprietario della casa. L’inquilino, ad esempio, ha la tranquillità che, se i piani alla fine non andranno come previsto, il suo impegno sarà limitato all’interruzione del contratto di locazione, con ciò che ne consegue.

Un ulteriore vantaggio è quello che, vivendo in affitto, si conoscerà perfettamente la casa e si potrà valutare correttamente se l’acquisto valga la pena o meno.

Dal lato del locatore, e futuro venditore, il vantaggio è il ricevere una rendita in attesa della vendita, il che è positivo rispetto ad avere una casa ferma sul mercato perché, magari, si trova in zone in cui le compravendite sono poco dinamiche.

Scopri le 20 case in affitto con riscatto attualmente disponibile su idealista.

 

Acquistare immobili di proprietà delle banche in vendita

Un modo per accedere a una casa nonostante la mancanza di risparmi è acquistare un appartamento di proprietà di una banca. Sulla scia della crisi del 2008, le banche hanno accumulato una grande quantità di capitale sotto forma di case.

 

La nuda proprietà spiegata in 10 passi

1. Cos’è la nuda proprietà?

La nuda proprietà è il valore dell’immobile decurtato dell’usufrutto. Quindi in parole semplici, vendere la nuda proprietà significa vendere il proprio immobile, ma tenendo per sé il diritto di viverci per tutta la vita

2. Quali sono i vantaggi della nuda proprietà per chi vende?

Chi vende la nuda proprietà dell’immobile si riserva il diritto di abitare e godere l’immobile per tutta la vita, incassando subito un capitale che può aiutarlo a vivere meglio, in tranquillità, oppure aiutare i suoi figli a comprare una casa e/o avviare un’azienda.

3. E per chi compra?

Chi compra la nuda proprietà acquista un immobile oggi, a un prezzo agevolato, in base all’età dell’usufruttuario. Durante il periodo in cui l’usufruttario rimane in casa, la nuda proprietà si rivaluta doppiamente: sia grazie all’incremento del valore di mercato dell’immobile, sia grazie all’avanzamento dell’età dell’usufruttario

4. Chi è l’usufruttuario?

L’usufruttario è chi, una volta ceduta la nuda proprietà di un immobile, ha il diritto di goderne l’uso per tutta la vita o entro un periodo determinato in fase di contratto. L’usufruttuario può essere una persona sola oppure due coniugi. Se vuole, l’usufruttuario può anche affittare l’immobile o vendere l’usufrutto a terze persone nei limiti dei termini previsti nel contratto della vendita della nuda proprietà. Eventualmente, l’usufrutto è trasferibile ai terzi sempre nei limiti previsti nel contratto della vendita della nuda proprietà, oppure in accordo con il nudo proprietario post-contratto

5. Chi è il nudo proprietario?

Il nudo proprietario è chi ha il diritto di proprietà su un immobile, ma non il diritto di goderne l’uso. Il nudo proprietario ha la facoltà di trasferire a terzi in qualsiasi momento la nuda proprietà dell’immobile stesso, potendo nel caso realizzare un guadagno perché l’immobile può essersi rivalutato, e contemporaneamente, trascorso il tempo, sarà aumentata l’età dell’usufruttuario

6. Si può vendere anche la nuda proprietà di una seconda casa o di una casa affittata?

Sì, tutti i vantaggi rimangono gli stessi. Nel caso in cui la casa sia affittata, l’usufruttuario continuerà a percepirne gli affitti

7. Com’è calcolato il prezzo di vendita?

Partendo da una perizia professionale del valore del mercato dell’immobile redatta dai nostri professionisti locali su tutto il territorio italiano, si applica un coefficiente secondo l’età dell’usufruttario (abitante/i) della casa. Questi coefficienti sono redatti periodicamente dal ministero delle finanze e sono basati sulle aspettattive di vita statistica in Italia e sul tasso di interesse legale in vigore. In ogni caso il prezzo di vendita, una volta ascoltati i suggerimenti di casanuda.it è stabilito dal venditore

8. Chi paga le spese, l’ici e l’ irpef?

Generalmente le spese di manutenzione ordinaria dell’abitazione sono a carico dell’usufruttario (custodia, amministrazione, manutenzione generale). L’usufruttario è tenuto a mantenere l’immobile in buono stato, senza danneggiarlo o modificarlo all’insaputa del nudo proprietario. Così come le spese straordinarie (le spese strutturali) sono a carico del nudo proprietario

Ciò può essere comunque oggetto di trattativa tra le parti. Giuridicamente si afferma che il pagamento dell’ici (ma anche dell’irpef) è a carico di chi ha la disponibilità del bene, proprio perché gode di un diritto reale. L’articolo 1008 del codice stabilisce infatti che ” l’usufruttuario è tenuto, per la durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte, i canoni, le rendite fondiarie e gli altri pesi che gravano sul reddito.”

9. Cosa significa usufrutto a tempo e come si calcola?

L’usufrutto a tempo è la possibilità di usufruire dell’immobile del quale si è ceduta la nuda proprietà per un periodo di tempo predeterminato e quindi non legato all’età dell’ usufruttuario. Casanuda.it consiglia di calcolare il valore commerciale dell’ usufrutto a tempo scontando gli anni della durata dello stesso dall’aspettativa di vita media indicata dall’ istat che oggi si aggira intorno agli 85 anni, facendo quindi riferimento alle normali tabelle per il calcolo della nuda proprietà. Ad esempio il valore della nuda proprietà di un immobile con un usufrutto a tempo della durata di 10 anni viene calcolato come se l’usufruttuario avesse 75 anni e di conseguenza la nuda proprietà ha il valore commerciale pari al 65% del valore della piena proprietà.
Qualora l’usufruttuario decedesse durante il periodo in cui l’usufrutto a tempo fosse ancora in vigore, l’usufrutto e la nuda proprietà si congiungerebbero nella piena proprietà e l’immobile entrerebbe nella piena disponibilità del nudo proprietario.

Direttiva europea sulla classe energetica, niente stop di vendita o affitto delle case meno efficienti

Dal 2030 nuove case solo a zero emissioni, dal 2050 obbligo su tutte!

 

I ministri dell’Energia dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo sulla revisione della direttiva sulle caratteristiche energetiche degli edifici, che prevede l’obbligo di “zero emissioni” su tutti gli immobili residenziali di nuova costruzione già dal 2030, assieme a un percorso per raggiungere sempre questa soglia di zero emissioni su tutte le case per il 2050.

Il piano prevede tappe sulle soglie minime di efficienza energetica anche per l’edilizia non abitativa, con dei livelli da raggiungere fissati al 2030 e al 2034.

Classe energetica immobili residenziali

Per gli immobili residenziali l’accordo tra i ministri Ue prevede delle “tappe di controllo” su un percorso di adeguamento allo standard di zero emissioni che andrà avanti dal 2025 fino al 2050. Dal 2033 diventerà obbligatoria una classe energetica “D” per tutti gli edifici. Dal 2040 sarà obbligatoria una classe che verrà determinata a livello nazionale con un graduale percorso di miglioramento fino al 2050.

Classe energetica, nuova categoria A0

È stato poi concordato di aggiungere la nuova categoria “A0” alla classe energetica certificata degli edifici che corrisponde a zero emissioni. Inoltre si potrà utilizzare la nuova categoria “A+” su edifici a zero emissioni che hanno un contributo positivo netto da rinnovabili sulla generazione elettrica che viene immessa nella rete. Al momento la scala energetica va da “A”, il livello più elevato, a “G”, il più basso.

Il ministro ceco non ha minimamente menzionato un aspetto fortemente controverso che era stato oggetto di forti critiche nelle prime proposte di intervento sulla classe energetica degli edifici. Ovvero l’impossibilità di effettuare compravendite di locali o immobili ove non dotati dell classe minima energetica richiesta. Non è tuttavia da escludere che in sede negoziale con l’Europarlamento questo elemento problematico possa riemergere.

Classe energetica Ue, conseguenze

Il tutto rischia di assestare un ulteriore colpo al settore dell’edilizia in una fase già molto delicata. La manovra di rialzo dei tassi di interesse avviata dalla Bce, con ripetute accelerazioni in riposta all’alta inflazione, sta già avendo pesanti ricadute sui mutui per l’acquisto di immobili. Proprio oggi l’indagine trimestrale condotta dalla stessa istituzione monetaria ha riportato che una banca su tre nell’area euro ha riferito di netti inasprimenti dei criteri di concessione di prestiti per l’acquisto di casa alle famiglie. E nel terzo trimestre, intanto, sono calati i livelli di domanda dei mutui da parte dei consumatori.

Il tutto ancor prima di questa stangata che rischia di verificarsi sulla classe energetica degli edifici, che potrebbe comportare forti spese per mettere a norma gli edifici, in una fase in cui la domanda di dispositivi e sistemi di efficientamento energetico è già satura. In particolare nella Penisola anche a seguito degli ultimi meccanismi di incentivazione (in particolare il “superbonus” al 110%).

 

Nessun divieto di vendita e locazione dal 2030 per le case che non raggiungano determinati requisiti di efficienza energetica. La tanto discussa direttiva europea sulla classe energetica degli immobili non impone infatti lo stop di cui si è parlato nei giorni scorsi, ma stabilisce l’obbligo di ammodernare dalla classe G alla F il 15% del patrimonio edilizio con le prestazioni peggiori di ciascuno Stato Ue entro il 2027 per gli edifici non residenziali ed entro il 2030 per gli edifici residenziali.

Direttiva sull’efficienza energetica, le parole del vicepresidente della Commissione europea

Parlando in italiano nel corso della conferenza stampa con cui è stata presentata la proposta sull’efficienza energetica degli immobili, il vicepresidente della Commissione europea, l’olandese Frans Timmermans, ha detto: “Bruxelles non vi dirà che non potete vendere la vostra casa se non è ristrutturata e nessun burocrate di Bruxelles confischerà la vostra casa se non è ristrutturata. Il patrimonio culturale è protetto e le case estive possono essere esentate. La nostra proposta non contiene alcun divieto di vendita o affitto per gli edifici che saranno qualificati nella classe G, cioè per quel 15% degli edifici identificati come quelli con la peggiore efficienza energetica nel singolo Paese”.

Direttiva europea sulle case, gli obiettivi

Secondo la direttiva europea sulla classe energetica (Epbd), “il 15 per cento del patrimonio edilizio con le prestazioni peggiori di ciascuno Stato Ue dovrà essere ammodernato dalla classificazione energetica G alla classe F entro il 2027 per gli edifici non residenziali ed entro il 2030 per gli edifici residenziali”. Questo significa che ciascuno Stato membro dovrà individuare il 15% del proprio patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni energetiche e portarlo dalla classe G alla F entro il 2027 in caso di edifici non residenziali ed entro il 2030 in caso di edifici residenziali.

L’obiettivo della proposta di direttiva sulla performance energetica degli edifici presentata dalla Commissione europea è quello di decarbonizzare il parco immobiliare Ue entro il 2050.

Compravendita ed errata classe energetica, cosa accade

Il Tribunale di Trani si è espresso in tema di compravendita ed errata classe energetica, spiegando cosa accade in seguito alla perdita di valore dell’immobile che ne deriva. Vediamo quanto precisato.

Con la sentenza n. 1955/2022 del 30 dicembre, il Tribunale di Trani ha sottolineato che, se in sede di stipula del contratto definitivo di compravendita immobiliare viene accertato che la reale classe energetica dell’immobile non corrisponde a quella dichiarata nell’Attestato di prestazione energetica (Ape), con conseguente perdita del valore dell’immobile acquistato, il compratore ha diritto al risarcimento del danno.

Nella sentenza è specificato che la classe energetica riscontrata inferiore rispetto a quella dichiarata determina “una perdita di valore dell’immobile acquistato, perdita che deve trovare ristoro nei termini fissati, e condivisi, dal nominato Ctu. Infatti, se le parti avessero conosciuto fin dal primo momento la corretta classe energetica avrebbero sicuramente pattuito un prezzo diverso da quello effettivamente pagato”. Questo vuol dire che il compratore dell’immobile che risulta essere di una classe energetica inferiore rispetto a quella dichiarata ha diritto al risarcimento del danno.

Che cos’è l’Attestato di prestazione energetica

Si ricorda che l’Attestato di prestazione energetica è un documento che definisce le caratteristiche energetiche di un edificio, di un appartamento o un’abitazione ed è necessario nel momento in cui si intende vendere o affittare la propria casa.

Secondo la normativa, i proprietari sono obbligati a redigere l’Attestato di prestazione energetica quando:

  • l’intero edificio è destinato alla vendita o alla locazione;
  • la singola unità immobiliare è destinata alla vendita o alla locazione;
  • l’edificio o la singola unità immobiliare sono destinati alla donazione;
  • l’immobile è stato appena costruito o sottoposto a ristrutturazione importante.

 

 

La classe energetica della tua casa: come calcolarla, migliorarla e i costi

Dal 2005 è obbligatoria la certificazione energetica per le abitazioni, un documento essenziale in svariati contesti e situazioni immobiliari. Per differenziare le classi energetiche delle case, vengono utilizzati gli indicatori: A4, A3, A2, A1, B, C, D, E, F, G, dove la classe energetica A4 è quella più performante, mentre la G quella meno efficiente.

Che cos’è la classe energetica di un immobile?

 La classe energetica di un immobile permette di conoscere, in maniera sintetica, il fabbisogno energetico di un edificio. I materiali di costruzione, la tipologia di infissi, l’impianto di riscaldamento, la produzione di acqua calda e il sistema di illuminazione, sono i criteri di assegnazione della classe energetica. Il documento ha una validità di 4 anni e l’attestato deve essere rilasciato da professionisti certificati.

È comunque possibile stimare la classe energetica della propria abitazione anche in assenza di un’apposita certificazione, considerando i criteri che determinano il calcolo, tra cui:

  • geometria ed esposizione dell’immobile;
  • tipologia di impianti;
  • presenza di impianti dotati di ventilazione meccanica.

Ma sicuramente, l’elemento più rilevante è la soluzione trovata per il riscaldamento invernale.

Come si calcola la classe energetica?

La classe energetica di una casa si determina in base alla somma dei singoli servizi energetici presenti nell’abitazione esaminata, espresso in kWh/mq/anno, facendo riferimento alla superficie utile. Per poter effettuare il calcolo senza errori, ci si può affidare a professionisti esperti, oppure utilizzare gli strumenti di calcolo disponibili gratuitamente online.

Come migliorare la classe energetica dell’appartamento?

Qualora la classe energetica della propria abitazione risulti particolarmente bassa è opportuno chiedersi: come migliorare la classe energetica della casa? Per ottimizzare la classe energetica è fondamentale effettuare degli interventi di efficientamento energetico, facendo affidamento sulle numerose agevolazioni fiscali messe a disposizione dal Governo. Tra le attività più vantaggiose ci sono:

  • migliorare l’isolamento termico attraverso la creazione di un cappotto termico esterno o interno, oppure rivedendo la struttura del tetto.
  • sostituzione degli infissi obsoleti con nuovi modelli in pdv che riducano la dissipazione del calore verso l’esterno.
  • progettare e installare un impianto di riscaldamento e invernale raffreddamento estivo performante, magari utilizzando sistemi ecologici con pompe di calore.
  • sfruttare al massimo la domotica residenziale per ridurre al minimo gli sprechi energetici.

Ciascuna delle soluzioni sopra citate comportano un investimento non indifferente, ma che può essere sostenuto alla luce della possibilità di recuperare una parte o l’interezza della spesa corrisposta attraverso le agevolazioni fiscali e con la prospettiva di ridurre i costi in bolletta. Per ottenere un risparmio del 90% circa, bisogna essere in possesso di una casa passiva e che non utilizza termosifoni e caldaie.

Classe energetica casa: la tabella

Arrivati a questo punto ci si potrebbe chiedere quali sono i valori di riferimento per ogni classe energetica. La classe energetica di una casa misura quanto sia efficiente in termini di consumo di energia elettrica, acqua e combustibili per il riscaldamento. Nella seguente tabella vengono indicate le classi energetiche più funzionali con i rispettivi consumi.

Classe energetica Consumo
Classe A4 < 0,40 EPgl
Classe A3 0,41 EPgl – 0,60 EPgl
Classe A2 0,61 EPgl – 0,80 EPgl
Classe A1 0,81 EPgl – 1,00 EPgl
Classe B 1,01 EPgl – 1,20 EPgl
Classe C 1,21 EPgl – 1,50 EPgl
Classe D 1,51 EPgl – 2,00 EPgl
Classe E 2,01 EPgl – 2,60 EPgl
Classe F 2,61 EPgl – 3,50 EPgl
Classe G > 3,51 EPgl

La classe energetica della tua casa cosa indica?

La classe energetica indica l’efficienza dell’abitazione in termini di consumo di energia, acqua e combustibili per il riscaldamento. Coloro che vivono in un edificio con una buona classe energetica ricevono bollette molto meno salate e riescono ad ottimizzare i consumi e riducendo al minimo gli sprechi, con un grande vantaggio in termini ambientali.

Non bisogna per altro sottovalutare che questo parametro è essenziale quando si decide di avviare una trattativa immobiliare; in questa sede una delle domande potrebbe essere “qual è la classe energetica per vendere casa?” Ecco, quindi, che la prestazione energetica diventa un elemento fondamentale quando si deve vendere casa soprattutto per la definizione del prezzo di cessione.

Classe energetica casa: A4

La classe energetica A4 è la classe più alta e per ottenerla è necessario che l’immobile sia costruito seguendo le norme della bioedilizia. Il comfort abitativo è garantito e i costi delle bollette sono ridotti.

Classe energetica casa: F

La classe energetica F ha gli impianti di riscaldamento obsoleti, il consumo è compreso tra 121 e 160 kWh/mq all’anno.

Classe energetica casa: G

La classe energetica G è un’abitazione con elevato consumo energetico poiché la struttura non aderisce ad alcun parametro di efficienza energetica.

Classe energetica casa: A3 e A2

Per la classe energetica A3 il consumo è compreso tra 0,40 e 0,60 kWh/m2anno, mentre per la A2 tra 0,60 e 0,80 kWh/mq l’anno, non differisce molto dalla A4.

Classe energetica della casa: chi la redige e quanto costa

L’Attestato di prestazione energetica viene rilasciato da un soggetto estraneo alla proprietà. I casi in cui deve essere redatto il documento sono:

  • compravendita immobiliare;
  • donazione immobiliare;
  • affitto di un’unità immobiliare;
  • vendita di nuove costruzioni;
  • ristrutturazione del 25% della superficie.

In linea generale, l’APE (Attestato di Prestazione Energetica) non ha un costo fisso e può costare tra i 100 e i 300 euro, la cifra precisa non è possibile indicarla in quanto il valore dipende dalla regione e dalla città in cui si vive.

Classe energetica casa: Europa

Dal momento che l’efficienza energetica è un tema caro a molti, e soprattutto in Europa, la comunità europea ha fissato alcuni obiettivi comuni, tra cui quelli relativi alla classe energetica delle case nel 2030. Le abitazioni in Europa dovranno garantire una classe energetica E entro il 2030. Sono previste esenzioni per gli edifici storici e le chiese.

Classe energetica: qual è la casa “migliore”?

Le case con maggior efficienza energetica sono quelle con classe: A4, A3, A2, A1, seguite dalle classi B, C, D, E, F, e infine la G, con il punteggio più basso.

Esempio di stima della classe energetica

Un appartamento collocato nel nord Italia con una superficie pari 120 mq dotato di impianto a riscaldamento autonomo, tra ottobre e marzo ha un consumo di 1300 metri cubi di metano, viceversa in estate il consumo è di 300 metri cubi.

1300 – (2 x 300) = 700 metri cubi è il calcolo che fornisce la stima dei metri cubi consumati per il riscaldamento. Il totale deve essere diviso per la superficie, in questo caso la classe energetica di questa abitazione è pari a B.

 

Rendita catastale dell’immobile: la guida completa

Calcolare il valore della rendita catastale della casa è un’operazione necessaria per conoscere l’ammontare effettivo delle imposte da pagare sulle proprietà immobiliari.

La rendita catastale è un valore fiscale attribuito ad ogni immobile registrato presso il Catasto. Conoscere questo dato sulla proprietà è importantissimo poiché da un lato, consente di calcolare in maniera corretta le tasse e le imposte relative ai beni immobiliari e, dall’altro, permette di ricavare il valore catastale dell’appartamento nel caso in cui vi sia il desiderio di venderlo a terzi.

  1. Cos’è la rendita catastale di una casa?
  2. Come si calcola la rendita catastale di un immobile?
  3. Rendita catastale e IMU
  4. Rendita catastale per l’ISEE
  5. Quando la rendita catastale è alta cosa comporta?
  6. Dove si vede la rendita catastale di un immobile?

Cos’è la rendita catastale di una casa?

Ogni immobile regolarmente registrato al Catasto, eccetto quelli con destinazione particolare (come ad esempio le stazioni per i servizi di trasporto o i ponti per cui è previsto un pedaggio) sono provvisti di un valore fiscale ben preciso: la rendita catastale. Generalmente, questo dato consente di:

  • calcolare il valore catastale dell’immobile;
  • individuare il valore erariale dell’immobile;
  • quantificare la base imponibile per le imposte dirette e l’Imposta municipale unica.

Sebbene vengano spesso utilizzati come sinonimi, è bene specificare che la rendita catastale ed il valore catastale sono due cose diverse, sia in termini di funzioni assolte che in termini di operazione di calcolo.

Il valore catastale viene individuato principalmente per ricavare l’ammontare delle imposte sulle successioni, le donazioni e quelle di registro relative alla casa, oltreché i tributi catastali e ipotecari. Per ottenere questo valore è necessario conoscere la rendita catastale, successivamente moltiplicata per i coefficienti catastali stabiliti in base alla destinazione d’uso dell’immobile e la categoria cui esso è ascrivibile. Il risultato, dunque, sarà la base imponibile su cui calcolare diverse tasse.

La rendita catastale dell’immobile, invece, può essere definita come il reddito dell’immobile individuato seguendo diversi parametri quali la dimensione e le tabelle di estimo dell’Agenzia delle Entrate. Pertanto, conoscere il valore della rendita catastale è funzionale alla ricerca del valore catastale dell’immobile e, in maniera indiretta, a capire quali sono i tributi sulle successioni, donazioni, quelli catastali, le imposte ipotecarie e di registro. Come vedremo, rendita catastale e calcolo dell’IMU sono strettamente legati.

Come si calcola la rendita catastale di un immobile?

Per effettuare il calcolo della rendita catastale è necessario moltiplicare il valore delle dimensioni totali degli immobili per la tariffa di estimo. Quest’ultima non è altro che una cifra specifica presente nelle tabelle dell’Agenzia delle entrate per la rendita catastale che identifica la destinazione d’uso dell’immobile, la categoria catastale e la zona censuaria in cui si ubica. Ai fini del calcolo della rendita catastale, la dimensione dell’immobile può essere espressa in vani, metri quadri, o metri cubi prendendo sempre in considerazione la categoria catastale cui l’immobile fa riferimento.

Infine, per ottenere il valore corretto ai fini dell’individuazione della base imponibile per le imposte è necessario operare una rivalutazione della rendita catastale del 5% (aliquota fissata rispetto alla categoria di appartenenza) ed una moltiplicazione dei coefficienti d’imposta.

Anche il calcolo della rendita catastale della seconda casa si ottiene prendendo in considerazione questi due valori anche se, probabilmente, si tratta di un’operazione cui riservare maggiore attenzione dal momento che spesso è solo su questo genere di immobili che i proprietari sono dovuti a pagare le imposte.

Rendita catastale e IMU

Quando si è in possesso di un immobile, è necessario calcolare la rendita catastale ai fini IMU. L’Imposta municipale unica o Imposta municipale propria è un tributo comunale che i proprietari di immobili sono tenuti a pagare per ogni casa, ad eccezione di quella adibita ad abitazione principale.

Per calcolare l’imu sui propri immobili è necessario essere in possesso della rendita catastale dell’immobile, del coefficiente catastale di categoria e dell’aliquota IMU individuata dal Comune in cui l’immobile è ubicato. Pertanto, per il calcolo dell’IMU si usa la rendita catastale rivalutata del 5% moltiplicata per il coefficiente catastale cui l’immobile è associato. Infine, è necessario applicare l’aliquota comunale al risultato ottenuto utilizzando la rendita catastale rivalutata ed il coefficiente di categoria.

Rendita catastale per l’ISEE

Conoscere il valore della rendita catastale è utile anche per redigere correttamente il riquadro F3 del documento ISEE poiché permette di individuare il valore corretto dei terreni ed i fabbricati di proprietà.

Per il calcolo del patrimonio immobiliare è di fondamentale importanza prendere visione della rendita catastale per ISEE di ciascun immobile e, più precisamente, delle visure catastali. Per portare a termine questa operazione è possibile recarsi presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate o gli sportelli catastali o, ancora, trasmettere una richiesta attraverso i servizi telematici dedicati alla rendita catastale dell’Agenzia delle Entrate.

Quando la rendita catastale è alta cosa comporta?

Come abbiamo visto, per giungere al valore corretto della rendita catastale dell’immobile è necessario, oltre a fare l’operazione matematica che comprende le dimensioni e le tariffe di estimo, operare una rivalutazione della rendita catastale. Ciò significa si deve moltiplicare la rendita catastale per le aliquote fissate in base alla categoria di appartenenza e successivamente moltiplicata per i singoli coefficienti di imposta (1,60 per l’IMU per esempio).

Quando la rendita catastale risulta troppo alta significa che probabilmente il valore non è stato aggiornato dal Catasto e si sta facendo riferimento ad una rendita catastale non rivalutata. Il Catasto è sempre a conoscenza dello stato dell’immobile e, in questo caso, è possibile richiedere la rivalutazione della rendita catastale tramite apposita istanza da inviare solo nell’eventualità che l’immobile si trovi in stato di degrado o di abbandono o qualora il proprietario ne abbia cambiato la destinazione d’uso.

Dove si vede la rendita catastale di un immobile?

La consultazione delle rendite catastali è un servizio fornito dai privati o dall’Agenzia delle Entrate presso gli uffici o sul sito ufficiale. Per risalire al valore corretto tramite la consultazione delle rendite catastali ci sono principalmente tre vie, ovvero la richiesta della:

  • visura catastale per immobile ovvero in base ai dati catastali del fabbricato o del terreno:
  • visura catastale per soggetto ovvero in base ai dati anagrafici del proprietario dell’immobile;
  • visura catastale per indirizzo ovvero sulla base del solo indirizzo legato all’immobile.

I dati necessari sono in generale la provincia in cui l’immobile è ubicato e gli identificativi catastali quali il Comune, la sezione, la particella ed il foglio. Sul sito dell’Agenzia delle Entrate sono disponibili tutti i dati relativi al Catasto, sia inerenti ai fabbricati che ai terreni. Per entrare in possesso del valore necessario alla determinazione delle imposte sull’immobile bisogna dunque richiedere la consultazione delle rendite catastali all’Agenzia delle Entrate.

Diritto di abitazione: cos’è, costituzione, decadenza, IMU e pignorabilità

 

L’articolo 1022 del Codice Civile sancisce il diritto di abitazione, noto anche come diritto reale che permette al beneficiario di abitare presso un bene immobile di proprietà di un altro soggetto per un preciso periodo di tempo. Questo beneficio può essere esteso alla famiglia del titolare e a soggetti che prestano servizio nell’abitazione.

Diritto di abitazione: cosa si intende?

Il diritto di abitazione nel Codice Civile è sancito dall’art. 1022 ed è definito come il diritto di vivere un bene altrui in maniera limitata al proprio bisogno; infatti, il soggetto titolare non può destinare l’immobile ad altri usi, per esempio utilizzandolo come ufficio o magazzino. L’abitazione, le terrazze e i giardini devono considerare i requisiti di abitabilità.

Le persone fisiche godono di questo diritto, viceversa le persone giuridiche ne sono escluse. Inoltre, viene esplicato nell’art. 1023 del Codice Civile, la possibilità di ampliare il diritto di abitazione anche ai figli nati anche dopo che è iniziato a valere il diritto e sono inclusi anche i figli adottivi e quelli riconosciuti. Anche i soggetti che prestano servizi alla famiglia beneficiano di questo diritto.

Cessione del diritto di abitazione

L’art. 1024 stabilisce che:

  • il titolare del diritto di abitazione può utilizzare la casa nei limiti delle sue esigenze e di quelle della sua famiglia;
  • l’edificio non può essere ceduto o dato in locazione.

Gli obblighi del titolare del diritto di abitazione

L’art.1025 definisce gli obblighi del titolare del diritto di abitazione, tra cui:

  • rispetto della destinazione economica;
  • avere cura della casa;
  • consegnare la casa in condizioni ottimali;
  • non cedere o dare in affitto l’abitazione.

Infine, il titolare ha il dovere di eseguire la manutenzione ordinaria di cui ne sostiene interamente le spese.

Quando decade il diritto di abitazione?

La durata del diritto di abitazione è limitata e la sua estinzione è riconducibile a numerosi fattori, gli elementi principali che determinano l’estinzione del diritto di abitazione sono:

  • morte del titolare;
  • rinuncia del titolare presso l’immobile in oggetto;
  • scadenza del contratto: la scadenza del termine ne determina la fine;
  • perimento del bene: conseguente ad un crollo o alla demolizione;

L’estinzione del diritto può avvenire anche per consolidazione, cioè quando il titolare del diritto diventa proprietario del bene. Nel momento in cui decade il diritto di abitazione, l’habitator deve restituire l’abitazione al legittimo proprietario nelle medesime condizioni in cui l’ha ottenuto.

Diritto di abitazione e IMU, chi paga?

Quando si parla di diritto di abitazione chi paga l’imu? Il titolare del diritto di abitazione è tenuto a pagare l’Imu anche nel caso si tratti di prima casa quando sono edifici che rientrano nella categoria catastale A1, A8 e A9. Il saldo dell’Imu avviene anche sulle pertinenze.

C’è l’esenzione Imu prima casa per il diritto di abitazione? È possibile beneficiare dell’esenzione solo se la prima casa appartiene alle categorie catastali dalla A2 alla A7. Infatti, secondo la norma sull’Imu 2021, i proprietari di immobili ubicati sul territorio italiano e i soggetti che risultano titolari di diritti reali di godimento su beni immobili, sono tenuti a pagare la tassa.

Diritto di abitazione e coniuge superstite

In caso di morte del titolare di un diritto di abitazione, il coniuge superstite non proprietario gode ancora dei diritti di abitazione dell’edificio destinato a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano. I titolari del diritto di abitazione sono soggetti passivi dell’imposta, per questo motivo il coniuge superstite è passivo di Imu. Se si tratta di abitazione principale, il coniuge superstite che risiede non deve pagare la tassa.

È possibile la vendita dell’immobile con diritto di abitazione per il coniuge superstite? I diritti di abitazione e di uso non possono essere ceduti o dati in locazione ad altri. Inoltre, si può verificare la perdita del diritto di abitazione del coniuge superstite nel caso in cui ci sia la revoca giudiziale: il giudice decide che l’ex coniuge non può più conservare il diritto di vivere nella casa coniugale.

Le differenze tra diritto di abitazione e usufrutto

Il diritto di abitazione, a differenza dell’usufrutto presenta maggiori limiti, infatti è valevole solo per la casa, mentre il diritto di usufrutto vale anche per immobili di varia natura. La difformità maggiore riguarda la possibilità di cedere il diritto: con l’usufrutto il titolare del diritto può dare in affitto il bene, stipulare un’ipoteca e può essere pignorabile, viceversa per il diritto di abitazione non è lecito sfruttare la casa per ottenere un guadagno, inoltre non è pignorabile.

Diritto di abitazione e pignorabilità: è possibile?

Il diritto di abitazione presume la possibilità di godere di cose altrui, e con questo il titolare si riserva il diritto di vivere in casa, soddisfando i propri bisogni e quelli della famiglia. Il diritto di abitazione non si può pignorare o ipotecare, proprio per questo prima di procedere con il pignoramento, il diritto viene trascritto nei registri immobiliari e lo stesso è opponibile al creditore pignorante. Pertanto, il creditore ha la possibilità di pignorare la nuda proprietà della casa, che successivamente viene venduta all’asta, e in tal caso continua ad essere gravata dal diritto di abitazione.

Deprezzamento dell’immobile, quando si può chiedere il risarcimento del danno?

L’acquirente ha facoltà di pretendere il risarcimento del danno da deprezzamento dell’immobile nei confronti del venditore e/o del costruttore nel caso in cui terrazze, bagni, ripostigli e corridoi non siano protetti da rumori molesti, quindi insonorizzati, in base a quanto previsto dalla normativa tecnica in vigore. A chiarirlo la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 5487 dello scorso 22 febbraio 2023. Vediamo quanto chiarito nello specifico.

Un caso in cui si può richiedere il risarcimento del danno da deprezzamento dell’immobile

La Cassazione ha spiegato che, nel rispetto della normativa tecnica in vigore, anche terrazze, bagni, ripostigli e corridoi devono essere adeguatamente insonorizzati. In caso contrario, l’acquirente può richiedere il risarcimento del danno da deprezzamento dell’immobile nei confronti del venditore e/o del costruttore.

In particolare, la Cassazione ha spiegato che le terrazze devono essere insonorizzate non in quanto tali, ma perché attraverso di esse si possono propagare dei rumori che rendono più fastidioso soggiornare nei singoli appartamenti, diminuendone di conseguenza il valore.

Per quanto riguarda i locali come i bagni, i corridoi e i ripostigli, la Cassazione ha ricordato che essi fanno parte delle abitazioni e che la normativa tecnica in materia di insonorizzazione dei locali abitativi può essere applicata all’unità abitativa nella sua interezza, dal momento in cui la sua applicazione è finalizzata a evitare l’esposizione delle persone a rumori tali da pregiudicare lo svolgimento della loro normale attività quotidiana.

Dal pignoramento all’asta: cosa succede e come evitarlo

 

Come inizia il processo di pignoramento

Il pignoramento, è l’atto con cui inizia il percorso di espropriazione forzata di un bene mobile o immobile a tutela di un creditore, quando il debitore è insolvente. Il passaggio non è mai automatico ma deve esserci un’istanza da parte del creditore.

Il primo passo verso il pignoramento è un debito insoluto, che si è cercato invano di ripagare. A questo segue un titolo esecutivo a cui fa seguito un atto di precetto e poi il pignoramento vero  e proprio. Il pignoramento viene trascritto dopo 10 giorni dall’atto di precetto nei pubblici registri della Conservatoria e dura per tutta la procedura esecutiva. La trascrizione viene cancellata con il decreto di trasferimento da parte del giudice delle esecuzioni.

Il titolo esecutivo è il documento che dà il via all’esecuzione forzata, e va notificato sempre al debitore insieme o separatamente rispetto all’atto di precetto. Può essere giudiziale (sentenza, decreto ingiuntivo) o stragiudiziale (titolo di credito, scrittura privata autenticata).

L’atto di precetto è l’intimazione, recapitata al domicilio del debitore, a soddisfare il debito entro e non oltre i dieci giorni dalla ricezione. Contiene anche l’invito a ricorrere ad un organismo di composizione della crisi per avere aiuto nella gestione della situazione.

Quali tipi di sofferenze esistono

Esistono tre tipi di debito, che in terminologia bancaria si chiamano esposizioni deteriorate (Non performing exposures, NPE): i debiti “past due”, ovvero scaduti da oltre 90 giorni; i debiti UTP (Unlikely to pay), ovvero quelli che difficilmente saranno saldati, e i debiti NPL (Non performing loans), cioè quelli che, nonostante i tentativi di essere riportati in bonis, non sono stati rimborsati ed entrano quindi a tutti gli effetti nella procedura esecutiva.

Tipologie di pignoramento

Quando un debito entra in procedura, esistono tre tipi di pignoramento: mobiliare (ovvero sui beni mobili come arredi, gioielli, auto ecc), immobiliare ( su beni immobili) o presso terzi (ovvero sui conti correnti e su redditi o pensioni). In caso il bene immobile pignorato sia quello di residenza del debitore e della sua famiglia, il suo rilascio non può essere disposto prima della pronuncia del decreto di trasferimento.

Alcune categorie di beni sono impignorabili per il loro valore morale o per l’indispensabilità nella vita quotidiana, come crediti alimentari, assegno maternità o di povertà, oggetti di culto, fedi nuziali ecc. Anche la prima casa è impignorabile, ma solo dal fisco (che può però trascrivere ipoteca); altri creditori possono pignorare anche la prima casa.

 

Quando il bene pignorato va all’asta

Quando il bene mobile o immobile pignorato viene messo all’asta, secondo la legge 132/2015, che elimina le aste con incanto, è possibile offrire il 25% in meno della base d’asta. Nel caso l’asta vada deserta, la successiva asta avrà una base di partenza che sarà già inferiore del 25% rispetto al primo prezzo di partenza, e potrà essere ribassato di un ulteriore 25%. Questo è stato stabilito per invogliare gli acquirenti a partecipare.

Come partecipare all’asta

La gara vera e propria avviene in via telematica in tre modalità: sincrona, asincrona e sincrona mista. Sincrona significa che tutti glia spiranti acquirenti sono presenti nello stesso momento, in collegamento, quando si aprono le buste in modalità digitale. Sincrona mista è una modalità sempre telematica con in aggiunta una parte in presenza. L’asta asincrona è a tempo: c’è un giorno di inizio e uno di fine e non c’è bisogno che gli acquirenti siano presenti tutti nello stesso momento.

Alternative al pignoramento

Per evitare di vedere i propri beni pignorati quando non si riesca a sostenere un debito, ci sono alcune strade alternative:

  • Sospensione del mutuo, attraverso l’accesso al fondo di solidarietà per i mutui prima casa, che sospende il pagamento della quota capitale fino a 18 mesi. La banca in ogni caso non pignora la casa immediatamente dopo l’ultima rata non pagata del mutuo; solitamente trascorrono circa 4 anni durante i quali vengono fatti diversi avvisi.
  • Conversione del pignoramento: versando un sesto in denaro del debito dovuto a tutti i creditori, si può fare istanza di conversione del pignoramento: in caso di approvazione, il debito va ripagato in 48 mesi e sostituisce ai beni pignorati la somma di denaro corrispondente al lotro valore, oltre alle spese giudiziarie. In caso però di nuovo ritardo, il procedimento ripartirà.
  • Gestione della crisi: in caso di sovra indebitamento ci si può affidare ad un OCC (organismo di composizione della crisi) che, insieme al Gestore della crisi e al giudice delegato, trovano soluzioni alternative al pignoramento, ad esempio con piani di ristrutturazione del debito o con la liquidazione del patrimonio del debitore, anche qualora il suo valore copra solo parzialmente il valore del debito.
  • Saldo e stralcio: vendita extra giudiziale dei beni invece che affidarli all’asta. La compravendita avviene sul mercato con la mediazione di professionisti (ma con l’atto di estinzione di pignoramento redatto comunque dal tribunale). I vantaggi sono la maggiore rapidità della conclusione dell’affare e il prezzo che sarà più alto e consentirà di coprire meglio il debito. Oltretutto, l’acquirente avrà immediatamente la disponibilità del bene acquistato.

La procedura esecutiva

La procedura esecutiva inizia con l’atto di pignoramento, notificato al debitore e alle parti coinvolte presso l’ufficiale giudiziario. Successivamente si presenta in conservatoria la nota di trascrizione.

L’iscrizione a ruolo avviene con il deposito delle copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell’atto di pignoramento e della trascrizione entro 15 giorni dalla ricezione dell’atto di pignoramento stesso. Dopo 10 giorni si deposita l’istanza di vendita.

Dopo 60 giorni, può avvenire la perizia Ctu che determina il prezzo di vendita secondo tre tipi di parametri: valore di mercato, di realizzo o decurtato delle spese. Verrà scelto di questi il valore più basso perché l’intento è vendere presto dato che la procedura ha dei costi per la giustizia. In definitiva, dopo l’ordinanza di vendita e l’avviso di vendita, passano almeno 45 giorni prima del giorno dell’asta.

Una volta aggiudicato il bene in asta, il pignoramento è estinto.

Categoria catastale C2: una guida esaustiva

 

La categoria catastale C2 comprende i fienili agricoli e non agricoli, ma anche le cantine disgiunte dalle abitazioni e soffitte. Appartengono alla C2 anche gli ambienti dove si esercita la vendita all’ingrosso di prodotti, manufatti e merci o sono adibiti ad ospitarli.

Cos’è la categoria catastale C2

La categoria catastale C2 fa riferimento ai magazzini e ai locali di deposito. L’accatastamento C2, come tutti gli altri, viene stabilito dalla Agenzia delle Entrate in seguito a:

  • domanda di accatastamento
  • dichiarazione di una nuova costruzione e di variazione urbana

Nel dettaglio rientrano in questo gruppo alcune tipologie di unità immobiliari che possono essere adibite a magazzino e locali di deposito variamente declinati come segue;

  • deposito
  • contenimento di merci commerciali
  • contenimento di prodotti
  • contenimento di manufatti
  • vendita di prodotti, merci e manufatti
  • soffitte, cantine, fienili agricoli e non agricoli

Quando si parla di categoria catastale C2 bisogna poi considerare anche le pertinenze che legano l’immobile C2 ad uno principale.

Cosa sapere su categoria catastale C2 e abitabilità

Per comprendere appieno il concetto di categoria catastale C2 e abitabilità è opportuno fare un passo indietro sul concetto stesso di abitabilità: con questo termine si intende l’idoneità di un immobile ad essere abitato, secondo quanto stabilito dalla Legge.Il rapporto tra categoria C2 e abitabilità è preso ancora più ambiguo dal rapporto di pertinenza rispetto ad un immobile principale. In ogni caso, dal punto di vista legale non è possibile abitare in uno spazio accatastato C2 né richiedere qui l’assegnazione di residenza anagrafica. Si ricorda, tuttavia, che è possibile effettuare i lavori idonei a rendere lo spazio idoneo a questo scopo e inoltrate la richiesta di modifica catastale, passando da C2 a C1.

Categoria catastale C2: pertinenza

Il concetto di pertinenza è particolarmente utile per poter attribuire un regime fiscale (ed eventuali agevolazioni): con questa parola, infatti, si identifica le “cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa” secondo quanto stabilito dall’art. 187 del Codice Civile. Si capisce bene quindi che le due caratteristiche peculiari della pertinenza sono:

  • presupposto oggettivo: identificato nella durevolezza della destinazione, a sottolineare che il rapporto non deve essere occasionale;
  • presupposto soggettivo: determina la volontà da parte del proprietario di porre la pertinenza in un rapporto di strumentalità funzionale rispetto al bene principale.

Si può quindi affermare che il vincolo pertinenziale tra due immobili si stabilisce nel momento in cui il titolare di entrambe decide che una deve essere funzionale all’altra.

Calando ora il concetto di pertinenza a quello di categoria catastale C2 si comprende come ambienti come depositi, soffitte, cantine, fienili agricoli e non agricoli non possano sussistere autonomamente ma debbano essere collegati ad un bene immobile principale. In questo caso si potrà dire che un immobile con categoria catastale C2 può essere una pertinenza di una cantina.

 

Non bisogna poi sottovalutare le implicazioni tributarie della pertinenza. La regola generale vuole che per ogni abitazione principale sia possibile conteggiare fino ad un massimo di 3 pertinenze, ciascuna delle quali accatastata come segue: C2, C6, C7.

Che differenza c’è tra C2 e C6

Tenendo presente che le categorie catastali determinano il grado di redditività di un immobile, la differenza tra categoria C2 e C6 è essenziale e viene chiarita dalla Circolare n.2/E del 1/02/16. Il documento prende in considerazione la classificazione degli immobili nelle nuove costruzioni: in questo caso le cantine, i depositi e le autorimesse con un accesso esclusivo o da strada privata hanno un accatastamento C2, mentre in C6 nel caso di stalle, scuderie e autorimesse.

È quindi importante comprendere la differenza tra C2 e C6 non tanto o solo per la destinazione d’uso, ma per le implicazioni tributarie.

 

Categoria catastale C2, C6 e C7

Secondo quanto riportato dall’Agenzia delle Entrate la differenza tra la categoria Catastale C2, C6 e C7 può essere sintetizzata come di seguito:

Categoria catastale Tipologia
C2 Magazzini e locali di deposito
C6 Stalle, scuderie, rimesse e autorimesse
C7 Tettoie chiuse o aperte

 

Dal punto di vista tributario, le categorie C2 e C6 e C7 sono soggette a IMU (dovuta quando non sono di pertinenza con un immobile che è prima casa).

Categoria catastale C2: requisiti

Sebbene la categoria catasto C2 venga assegnata dalla Agenzia delle Entrate rispetto a dei criteri specifici è opportuno sottolineare come debba sussistere alcune caratteristiche che rendono uno spazio accatastabile per questa categoria: data la rendita catastale, queste viene rivalutata del 5% e si applica l’aliquota fissata da ogni singolo Comune moltiplicata per 55.

 

I requisiti fondamentali affinché un immobile possa essere assegnato alla categoria catasto C2 sono;

  • destinazione d’uso: rientrano nella categoria C2 fienili agricoli e non agricoli, soffitte e cantine disgiunte dalle abitazioni, ma anche i locali dove viene esercitata la vendita di merci, manufatti, derrate e prodotti.
  • ubicazione: sono solitamente posizionati in una zona eccentrica.
  • non hanno una zona di allestimento per mostre.

Pertanto, quando si parla di categoria C2, catasto e Agenzia delle Entrate devono lavorare a stretto contatto per poter determinare in maniera precisa e dettagliata la categoria nella quale far rientrare uno spazio.

Categoria catastale C2 e ufficio, un caso particolare

Quando si parla di un immobile con categoria catastale C2, l’ufficio non è la migliore soluzione d’uso che si possa trovare. In questo caso, infatti, bisogna considerare non solo (o tanto) la classificazione del catasto, ma la compatibilità urbanistico edilizia in merito alla destinazione d’uso.Qualora quindi si voglia insediare un ufficio in un’immobile con categoria C2 è necessario procedere con la pratica di cambio di destinazione, anche se non sono necessarie modifiche strutturali.

Previsioni tassi mutui

Previsioni tassi mutui

Il 16 marzo 2023 la Bce ha confermato la decisione, attesa dal mercato, di alzare nuovamente i tassi di interesse dello 0,50%, portando il tasso base al 3,50%. Quali saranno le conseguenze sul mercato dei mutui? Cosa succederà a chi ha un mutuo a tasso fisso o variabile? Insieme a Fabio Femiani, responsabile mutui di idealista Italia, abbiamo fatto il punto della situazione, scoprendo quanto costerà da ora in poi un mutuo da 200 mila euro.

Previsioni tassi mutui per i prossimi mesi

L’aumento dei tassi di interesse Bce va naturalmente di pari passo con un possibile aumento nei tassi di interesse sui mutui. Considerato che, finché l’inflazione resterà al di sopra della soglia del 2 per cento, i tassi di interesse Bce continueranno a salire, possiamo ipotizzare che nei prossimi mesi continuerà l’aumento anche dei tassi di interesse sui mutui, almeno per quanto riguarda quelli di nuova emissione.

“Il Consiglio direttivo – si legge in particolare nella nota della Bce, – ha deciso di innalzare di 50 punti base i tre tassi di interesse di riferimento. Pertanto, i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale saranno innalzati rispettivamente al 3,50%, al 3,75% e al 3,00%, con effetto dal 22 marzo 2023“.

Considerato che le previsioni sull’inflazione sono, sempre secondo la nota della Bce, per una media del 5,3% nel 2023, al 2,9% nel 2024 e al 2,1% nel 2025, possiamo pensare che il picco degli aumenti dei tassi di interesse Bce si raggiungerà quest’anno, per poi diminuire nei prossimi due anni. Di pari passo, quindi, andranno presumibilmente anche i tassi di interesse sui mutui.

Aumentano i tassi Bce, quali conseguenze sui mutui?

“La notizia dell’aumento dei tassi Bce è a doppio taglio per il mercato dei mutui, a seconda del target.

“Per chi abbia un mutuo a tasso fisso già in essere non cambia nulla. Ma per i nuovi mutui, o per le famiglie che hanno già un mutuo a tasso variabile, questo nuovo rialzo è una doccia fredda a causa dell’aumento che subiranno nelle rate mensili, che potrebbe mettere in difficoltà le famiglie più esposte. Non dimentichiamo che a marzo di un anno fa l’Euribor a 3 mesi era ancora negativo, il che significa che il ricalcolo delle rate comporterà un aumento dell’esborso mensile molto significativo”.

Tassi in aumento, meglio scegliere un mutuo fisso o variabile?

L’aumento dei tassi di interesse, se non costituirà un evento tale da modificare l’andamento del mercato immobiliare, rappresenterà comunque una sfida per il mercato dei mutui, che deve adattarsi in modo elastico a decisioni di politica monetaria sempre più impegnative.

“Le misure anti-inflazione applicate da Francoforte sembrano avere un impatto maggiore sulla capacità economica delle famiglie titolari di un mutuo che non sul mercato immobiliare stesso, che, pur rallentando leggermente rispetto al record del 2022, non parrebbe al momento subire una frenata significativa, “Pertanto, dai nostri dati l’aumento del costo del finanziamento non sta, almeno per il momento, impattando sul mercato immobiliare in maniera così grave come alcuni esperti avevano invece previsto.Questa situazione rappresenterà comunque una sfida per molti istituti, che dovranno adattarsi e creare delle barriere per evitare una nuova ondata di pignoramenti che potrebbe appesantire anche le stesse istituzioni finanziarie”.

In che modo gli aumenti dei tassi Bce influiscono sull’offerta di mutui in banca?

“E’ importante anche fare una ulteriore riflessione su come sono composti i tassi di interesse che regolano i finanziamenti.I tassi finiti sono formati da un indice di riferimento (IRS o Euribor) e uno spread (che rappresenta in poche parole il guadagno della banca): contrariamente a quanto potrebbe sembrare,questi aumenti dei tassi non si stanno trasferendo con tanta forza sulla componente di spread dei nuovi mutui attualmente offerti.Le banche hanno ancora voglia di continuare a prestare denaro, soprattutto in un mercato dove il rischio di un saldo negativo tra stock e nuovi impieghi è dietro l’angolo e anche per la concorrenza tra gli istituti per attirare i clienti solvibili che continua a essere dura”.

Cosa scegliere oggi tra mutuo a tasso fisso e mutuo a tasso variabile?

“Continuiamo a vedere come i mutui a tasso fisso siano più richiesti, anche se non diminuisce la richiesta di mutui misti (variabile con forme di protezione).Allo stesso tempo, da inizio anno, abbiamo avuto una crescita esponenziale delle richieste di surroghe: si tratta, ovviamente, di vecchi mutui ancora regolati a tasso variabile oppure, in casi minori, di mutui stipulati la scorsa estate da chi aveva scommesso sul variabile, pensando che l’aumento dei tassi fosse solo una congiuntura temporanea”.

Condono edilizio e sanatoria per gli abusi edilizi o le difformità

Il condono edilizio è un provvedimento che consente ai cittadini di annullare la pena o la sanzione ricevuta a seguito di un atto illecito. Viene presentato raramente dal Parlamento in quanto è una legge speciale e di conseguenza valida solamente per periodi limitati. Un’altra opzione legittima e valevole è la sanatoria edilizia: questa procedura consente di regolare le difformità tramite il pagamento di una sanzione e nel rispetto della legge vigente.

Che cos’è il condono edilizio?

Il condono edilizio consente di correggere l’attuazione di opere che non rispettano le norme urbanistiche, evitando i provvedimenti sanzionatori. Il condono edilizio viene emesso con l’obiettivo di sanare un abuso edilizio, purtroppo però ha una validità limitata, poiché si tratta di una legge speciale.

Negli ultimi anni, i condoni previsti sono stati:

  • legge 47/1985 primo condono: prevedeva la sanatoria e il condono;
  • legge 724/1994 secondo condono: i criteri previsti erano il tempo, lo stato dei lavori e i limiti dimensionali;
  • legge 326/2003 terzo condono.

La legge 326/2003 è stata formalmente l’ultimo condono edilizio, sebbene non si possa escludere a priori che ce ne saranno in futuro.

Condono edilizio: le novità del 2023

Le ultime notizie relative al condono edilizio nel 2023 hanno fatto emergere delle novità: in caso di abuso la possibilità di utilizzare la sanatoria edilizia è molto limitata. La norma presta particolare attenzione al momento della realizzazione dell’intervento e alla presentazione della richiesta di sanatoria.

Inoltre, secondo quanto precisato dal Tar Lazio, la domanda per il condono edilizio può essere respinta o rifiutata, poiché il rifiuto rappresenta una decisione legittima. Solo i costi concessori, ma non la tassa di obblazione, possono essere restituiti a coloro che hanno presentato la domanda.

Cosa si può condonare?

Le operazioni condonabili sono quelle attuate prima del 31 marzo 2003. Le norme sul condono prevedono sei tipologie di opera abusiva, individuando per ciascuna specifiche condizioni che influenzano la condonabilità dell’operazione, tra cui:

  • operazione realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, e non conformi alle normative urbanistiche;
  • opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche;
  • interventi di ristrutturazione edilizia che hanno l’obiettivo di raggiungere un risultato in parte o totalmente diverso da quello precedente;
  • opere di restauro e risanamento conservativo attuate in assenza del titolo abilitativo edilizio presenti negli agglomerati urbani;
  • opere di restauro che sono volte a conservare l’organismo edilizio;

Infine, vengono incluse anche le opere di manutenzione straordinaria.

Cosa non si può condonare?

Le situazioni non condonabili sono:

  • opere attuate sfruttando i contributi pubblici erogati dopo il 31.12.1995;
  • opere realizzate su un’unità abitativa, che nei precedenti condoni, è stata già oggetto di sanatoria per costruzione o ristrutturazione;
  • opere eseguite da persone condannate per reati come associazione mafiosa, riciclaggio, in via definitiva;
  • opere dove è impossibile attuare i necessari interventi di adeguamento antisismico.

Infine, non sono condonabili anche le opere realizzate su immobili già vincolati, su aree boscate percorse dal fuoco e su zone di proprietà dello Stato.

Condono edilizio: i costi da sostenere

Il costo del condono per la casa abusiva varia dai 60 ai 150 euro per metro quadrato, in base anche alla tipologia di abuso e agli oneri concessori.

La prescrizione del condono edilizio: cosa bisogna sapere

Se il condono edilizio dovesse essere negato, la prescrizione per la restituzione delle somme versate a titolo di oblazione sarebbe di dieci anni.

Chi può presentare domanda per il condono?

Tutti coloro che sono titolari di un diritto di proprietà sull’immobile hanno la possibilità di presentare la domanda di condono edilizio per una specifica opera abusiva, con l’obiettivo di intervenire con operazioni di trasformazione. L’amministratore del condominio è tenuto a firmare la richiesta in caso di proprietà condominiale.

Inoltre, la domanda per il condono può essere effettuata anche dai soggetti che dispongono di un’opera attuata su immobili di proprietà dello Stato, in questo caso è necessario allegare un atto che mostri l’assenso dell’ente proprietario alla sanatoria dell’abuso.

Quali documenti vanno allegati alla richiesta di condono?

Tutta la documentazione necessaria per fare richiesta di condono prevede:

  • dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà;
  • documentazione fotografica e un elaborato grafico: dove sono inclusi gli elementi occorrenti per la determinazione dell’opera abusiva;
  • eventuale atto unilaterale d’obbligo;
  • asseverazione del professionista abilitato;
  • attestazione del versamento dell’oblazione: a favore dello Stato;
  • attestato del versamento della quota integrativa dell’oblazione: a favore della regione;
  • attestato del versamento del contributo di costruzione: a favore del comune;
  • attestato del versamento dei diritti di segreteria: a favore del comune.

Se la documentazione non dovesse essere necessaria, lo Sportello unico invia al richiedente e al professionista un invito per l’integrazione alla domanda, correggendo le irregolarità.

Condono edilizio dopo 30 anni: è possibile?

Dopo 30 anni dall’edificazione dell’edificio, le abitazioni costruite illecitamente fuori dalle aree edificabili, possono beneficiare di un condono edilizio.

Quando un’opera costituisce un abuso edilizio?

Per abuso edilizio si intende l’attuazione di un intervento edilizio senza però aver ottenuto licenze o concessioni, di conseguenza senza l’approvazione di costruire. Una discordanza è un illecito penale, però molte difformità possono però essere regolarizzate, convertendo il reato in una sanzione pecuniaria.

Le discrepanze principali, esplicitate nel Testo unico dell’edilizia sono:

  • edificio abusivo (abuso totale): non è presente alcun titolo abilitativo. L’abitazione è stata costruita senza nessun provvedimento amministrativo o permesso a costruire lo stabile;
  • abusi sostanziali: difformità che indicano una differenza quantitativa con le operazioni autorizzate;
  • abusi minori: piccole modifiche interne realizzate in modalità differenti rispetto a quanto concesso nell’autorizzazione.

Inoltre, ci possono essere delle difformità non rilevanti che non richiedono la sanatoria.

Condono edilizio e sanatoria edilizia: le differenze

A fronte di una sentenza pronunciata nel 2019, la Cassazione ha fatto luce sulle differenze tra condono edilizio e sanatoria, è che il primo è una legge speciale, viceversa la seconda è un provvedimento amministrativo ammesso dalla normativa urbanistica vigente.

Come regolarizzare gli abusi edilizi?

Il condono edilizio o la sanatoria edilizia sono due metodi che consentono la regolarizzazione dell’abuso edilizio. Il condono permette di esonerare gli abusi su alcune opere ultimate entro una data precisa, viceversa, la sanatoria edilizia consente di rimediare con il pagamento di una sanzione.

Abusi edilizi: sanzioni penali ed amministrative

Sono previste sanzioni penali ed amministrative per l’abuso edilizio. La sanzione penale presume un’ammenda o l’arresto per colui che ha commesso il reato; invece, la sanzione amministrativa riguarda il ripristino dello stato anteriore all’abuso.

 

Asta immobiliare

Si può vendere casa comprata all’asta?

Comprare una casa all’asta permette di aggiudicarsi immobili a prezzi decisamente più bassi rispetto a quelli di mercato. Per molti, infatti, questa modalità di acquisto rappresenta anche una ghiotta occasione di investimento. Scopriamo quindi come e quando vendere una casa comprata all’asta.

Come funziona un’asta immobiliare

Il vantaggio principale di acquistare un immobile all’asta è proprio il prezzo, visto che si può ottenere un considerevole risparmio, fino a raggiungere picchi del 60% rispetto al prezzo di mercato (e non è prevista alcuna spesa notarile).

Tuttavia, le procedure per l’acquisto di un immobile all’asta sono abbastanza complesse, per questo è sempre meglio rivolgersi a un’agenzia esperta per facilitare il processo se non si conosce come funziona un’asta immobiliare. Gli aspetti principali da valutare sono:

  • Prezzo d’asta: il prezzo di partenza della vendita;
  • Rialzo: l’incremento minimo del rilancio, fissato discrezionalmente dal giudice dell’esecuzione (o dal professionista delegato);
  • Deposito cauzionale: l’importo che bisogna versare in fase d’iscrizione per poter partecipare all’asta. Nel caso in cui non ci si aggiudichi l’asta tale importo viene restituito;
  • Data di vendita: la data in cui si svolge l’asta. Se, alla data stabilita, l’asta non fosse andata a buon fine perché deserta, senza aggiudicazione o se non si è svolta per cause di forza maggiore, il giudice dovrà stabilire una nuova data. Nel frattempo, lo stato dell’asta si definisce “non partecipabile” e sull’annuncio dell’immobile non sarà presente la data di vendita.
  • Disponibilità: lo stato in cui versa l’immobile, che può essere libero o sottoposto a vincoli di persone e/o cose (questa informazione è contenuta nella perizia dell’asta);
  • Tribunale: il luogo dove si svolgerà l’asta (ci sono anche casi in cui si svolgono online in via telematica grazie a una piattaforma).

Come rivendere una casa comprata all’asta

In molti si chiedono se si può comprare casa all’asta per poi rivenderla. Ovviamente si può, ma ci sono alcuni paletti e, in ogni caso, non prima di aver ricevuto il decreto di trasferimento da parte del giudice, con il quale l’immobile diventa ufficialmente di proprietà dell’acquirente.

Più in generale, le regole della compravendita di una casa all’asta sono le stesse in vigore per la compravendita normale di un immobile. Dopo l’acquisto, infatti, il nuovo proprietario può decidere se abitarci, venderla o affittarla, con alcune differenze sulle tempistiche tra prima e seconda casa.

Quando si può vendere una casa comprata all’asta?

Anche per chi si chiede quanto tempo bisogna aspettare per rivendere una casa comprata all’asta la risposta è più ovvia di quanto si possa immaginare. Come per le compravendite tradizionali, nessuna legge vieta di comprare all’asta e rivenderla prima dei 5 anni.

Se l’immobile comprato all’asta, infatti, non era considerato come “prima casa” per venderla è necessario versare le tasse per la plusvalenza, ovvero il guadagno ottenuto dalla differenza tra il prezzo di aggiudicazione e di vendita.

Una casa comprata all’asta può essere venduta in qualsiasi momento, senza vincoli temporali, a patto che contestualmente si acquistati un altro immobile da adibire ad abitazione principale entro un anno. Se è una seconda casa, invece, si può rivendere senza particolari limiti temporali e senza tasse aggiuntive ai fini IRPEF dopo 5 anni, altrimenti ci saranno delle conseguenze di natura fiscale.

 

Investitore immmobiliare

Identikit dell’investitore immobiliare

Nella neo formata categoria “socio – immobiliare” rientra di diritto anche il proprietario immobiliare, inteso come investitore, ovvero colui che possiede una o più case in cui non abita direttamente, ma che usa per ricavarne reddito (mettendole in affitto) o per andarci in vacanza, o magari per prestarla temporaneamente a un parente o a un amico. Abbiamo, allora, ricostruito i tratti principali di questo target, cercando di capire di quanti e quali persone parliamo, di quali proprietà scelgono e di che vantaggio in termini finanziari ne deriva.

Che l’Italia sia una nazione di risparmiatori e proprietari di case fa parte ormai di quei luoghi comuni, ma molto comuni, come la completezza del nuoto o la scomparsa delle mezze stagioni. Quindi, sul fatto che ci siano tanti proprietari di seconde case in Italia, non abbiamo dubbi, lo diamo per assodato proprio come un assioma. Ma forse dobbiamo fare solo un piccolo passo indietro nei luoghi comuni e spiegare perché parliamo di seconde case?

La distinzione, ai fini di questo articolo, riguarda strettamente il fatto che ci riferiamo a quelle case che vengono usate come seconde case ai fini fiscali, ovvero non possedute e utilizzate direttamente come propria abitazione dai proprietari (questa è la prima casa), ma messe a reddito o lasciate a disposizione, oppure vuote, non utilizzate.

La definizione “tecnica” di seconda casa attribuisce all’aggettivo secondo il fine, ovvero il fatto che non soddisfa un bisogno primario. Quindi se non utilizzo direttamente una casa (che sia la mia unica proprietà, o la seconda, terza, ennesima casa) questa viene classificata come seconda casa.

Come tale può essere destinata:

  • al mercato dell’affitto, breve o lungo, per ricavarne una vendita
  • concessa gratuitamente a un parente o a un amico
  • lasciata a disposizione per vacanze proprie o di amici
  • momentaneamente non utilizzata per vari motivi, magari perché da ristrutturare.

Detto questo ci interessava conoscere un po’ da vicino chi sono i possessori di questi immobili per capirne il profilo e le scelte rispetto a un mercato, quello immobiliare, che per l’Italia rappresenta oltre un quinto del Pil. Nel corso del 2021 il peso di costruzioni e attività immobiliari ha toccato infatti il 20,9% del Prodotto interno lordo.

Quanti sono i proprietari di seconde case?

I numeri forniti dall’Agenzia delle entrate ci dicono che:

  •  Sono 5.556.340 il numero di case “a disposizione”, il 17,2% del totale delle abitazioni.
  • Il 18% degli italiani ha almeno una seconda casa.
  • Il 15,2% della popolazione ha una seconda abitazione che utilizza solo per le vacanze.

I dati degli ultimi studi del gruppo Tecnocasa dicono che nel 2021 il 42% delle transazioni immobiliari avvenute ha riguardato proprio l’acquisto di una seconda proprietà, con più di 270 mila abitazioni scambiate su un totale di 628.317.

Perché comprare una seconda casa?

I motivi sono principalmente due:

  • motivo economico: soprattutto quando i mercati finanziari sono poco stabili, l’immobiliare appare più che mai una scelta sicura, solida e tangibile da mettere a reddito o in cui rifugiarsi se scelgo la seconda casa vacanza;
  • l’altro motivo possiamo definirlo sociale: i cambiamenti a cui ci ha costretto una situazione del tutto nuova e inaspettata come il Covid, ha portato molti a vivere lo spazio casa in un modo diverso, anche come posto di lavoro e quindi avere un’alternativa all’abitazione principale, rappresenta una certa sicurezza.

Chi sono gli investitori immobiliari?

Sempre seguendo gli studi del gruppo Tecnocasa, scopriamo che nel 32% dei casi ha un’età compresa tra i 45 e i 54 anni, mentre gli acquirenti di età compresa tra i 35 e i 44 anni, rappresentano il 27,7% del volume totale. Il 70% di chi ha comprato per investire è sposato e il 29% lavora come dirigente, imprenditore o libero professionista; gli impiegati sono 26,5%, seguiti da pensionati (14,8%).

Cosa comprano?

Chi compra per investire e quindi per mettere a reddito sceglie soprattutto il bilocale con il 34,4% delle scelte, in linea con quello che è l’immobile più richiesto sul mercato, soprattutto nel centro delle grandi città, insieme al trilocale che arriva al 26,4% delle scelte degli acquisti  degli investitori.

È interessante notare anche che chi compra per investimento non si rivolge al mercato del mutuo, ma lo fa prevalentemente con propri fondi diretti (81,3%), mentre solo il 18,7% degli investitori ricorre al credito bancario.

Quanto guadagnano?

Senza entrare troppo nel dettaglio dei calcoli che andrebbero a prendere in considerazioni variabili molto ampie e allo stesso tempo molto particolari, possiamo considerare guadagni lordi sui 600 euro al mese di media (7.200 euro annui), che salgono di molto per bilocali in centro nelle grandi città o per immobili condivisi da studenti o lavoratori in molti casi e scendono per piccoli centri o per la periferia. Così come possiamo poi moltiplicare l’introito per il numero d’immobili che si mettono a reddito. Un investimento che se sostenuto, come dicevamo, senza prestito, porta da subito ottimi introiti. Possiamo pertanto pensare facilmente che molti degli investitori immobiliari rientrano in una categoria che l’Istat definirebbe “benestante”.

 

Residenziale generazioni a confronto

Residenziale: generazioni a confronto

A diverse fasce d’età corrispondono differenti modi di agire. Al fine di evidenziare i diversi comportamenti sul mercato immobiliare al cambiare dell’età.

Analizzando le proporzioni tra chi compra e chi va in affitto l’analisi ha evidenziato che tra i 18 e i 34 anni si registra il tasso più basso di acquisti (63,2%), percentuale che poi supera il 75-76% dopo i 35 anni, arrivando al 77,5% dopo i 55 anni.

La capacità di acquisto frena leggermente dai 65 anni in poi, quando si ritorna al 75,3%.

Rispetto al 2021 si registra un aumento delle percentuali di affitto in tutte le fasce di età, con aumenti più significativi per le fasce di età superiori ai 35 anni. A incidere su questa tendenza anche l’aumento dei tassi di interesse sui mutui.

Concentrando l’attenzione sugli acquirenti, la fascia di età più attiva sul mercato è quella compresa tra 18 e 34 anni che compone il 31,2% sul totale delle compravendite. Si registrano poi percentuali in progressivo calo all’aumentare dell’età, con gli over 65 che compongono solo l’8,6% degli acquirenti.

L’analisi evidenzia che la percentuale di acquisti per investimento è minima tra i 18 ed i 34 anni (7,1%), con percentuali in progressiva crescita all’aumentare dell’età, toccando il massimo tra gli over 55 con percentuali di investimento che raggiungono e superano il 28%. Andamento simile anche per le case vacanza, con percentuali basse nelle fasce di acquirenti più giovani, per arrivare fino al 14,8% nella fascia di età compresa tra 55 e 64 anni.

Appare chiaro come all’aumentare dell’età aumenti anche la disponibilità di spesa degli acquirenti e questo determina un maggior numero di acquisti per investimento e di case vacanza.

Rispetto al 2021 in tutte le fasce di età si registra un aumento delle percentuali di acquisto per investimento e di case vacanza; infatti, nel 2022 abbiamo assistito a un ritorno a pieno regime degli investitori sul mercato residenziale e a un proseguimento del trend positivo che riguarda gli acquisti di case vacanza.

Il trilocale la fa sempre da padrone, piazzandosi al primo posto qualsiasi sia l’età dell’acquirente. Tra 35 e 54 anni al secondo posto si piazzano le soluzioni indipendenti e semindipendenti, mentre fino a 34 anni e oltre i 54 anni sono i bilocali ad occupare il secondo gradino del podio.

Dopo il boom degli ultimi anni, il 2022 evidenzia per la prima volta una contrazione delle percentuali di acquisto di soluzioni indipendenti e semindipendenti, tipologie che subito dopo l’arrivo della pandemia avevano evidenziato un apprezzamento crescente da parte degli acquirenti.

Per quanto riguarda la composizione familiare degli acquirenti la percentuale più alta di single si registra nella fascia più giovane, quella compresa tra 18 e 34 anni, con ben il 38,7% delle compravendite effettuate. La percentuale di single si riduce nettamente nella fascia tra 35 e 44 anni (26,0%), per poi ricominciare a crescere nelle fasce successive.

In ogni caso, in tutte le fasce di età a comprare sono soprattutto famiglie (coppie e coppie con figli) con il picco massimo che si raggiunge tra 35 e 44 anni (74,0%).
Gli acquisti con mutuo decrescono sistematicamente all’aumentare dell’età. Rispetto al 2021 tutte le fasce di età segnalano una crescita di acquisti senza mutuo, determinata anche dall’aumento dei tassi sui mutui

Analisi mercato immobiliare

Analisi del mercato immobiliare

In questo avvio di 2023, ogni asset class è soggetta al proprio adeguamento specifico, che è parzialmente legato all’attesa di una possibile recessione. Tale adeguamento è in parte anche legato alla prospettiva secondo cui difficilmente la Federal Reserve (Fed) statunitense aumenterà il tasso di riferimento di altri 400 punti base (o più), nonché alle aspettative di un rallentamento dell’inflazione, che sta già scendendo in molti settori.

L’evoluzione della performance per il settore immobiliare nella new economy

Nella figura 1 abbiamo tracciato un grafico del rapporto tra i rendimenti cumulativi del CenterSquare New Economy Real Estate UCITS Index (settore immobiliare nella new economy) e dell’MSCI ACWI Index (azioni globali). Per quanto possa suonare complicato, dal punto di vista operativo se ne ricava che:

  • se il grafico scende da sinistra verso destra, ciò significa che il settore immobiliare nella new economy sta sottoperformando le azioni globali;
  • se il grafico sale da sinistra verso destra, significa che il settore immobiliare nella new economy sta sovraperformando le azioni globali.

Per semplificare le cose, abbiamo suddiviso la linea temporale in sei periodi definiti dalla pendenza della linea, con le date specifiche ricavate in base alla figura 1. La nostra logica è semplice: molti investitori a livello mondiale stanno prendendo in considerazione un benchmark azionario globale e stanno valutando se determinate strategie (in questo caso quella incentrata sul settore immobiliare nella new economy) possano inaugurare un periodo di sovraperformance prolungata.

Secondo la nostra tesi principale, le società immobiliari della new economy hanno le potenzialità per offrire un’“esposizione al settore tecnologico” differenziata quando i risparmiatori cercheranno di moderare la propria esposizione alle società tecnologiche in generale.

Segmenti del settore immobiliare nella new economy

Possiamo però approfondire il discorso, esaminando in particolare tre ambiti specifici del settore immobiliare. WisdomTree collabora con CenterSquare, un asset manager con profonda esperienza e competenza nel settore immobiliare, per definire un approccio al “New Economy Real Estate” incentrato sui pilastri seguenti:

  • ripetitori per cellulari;
  • centri dati;
  • depositi industriali orientati in prevalenza verso il commercio elettronico e le tecnologie.

Benché non si possa mai sapere con esattezza come reagirà una determinata impresa o un settore di un mercato in condizioni economiche dure, si ha motivo di credere quanto meno possibile che questi segmenti del settore immobiliare siano tendenzialmente più resilienti rispetto al settore immobiliare nel suo complesso.

E il famoso “effetto trainante della pandemia”?

Quando parliamo di “effetto trainante”, intendiamo dire nello specifico come il mondo sia stato costretto ad adeguarsi in fretta ad un contesto in cui il lavoro in ufficio è diventato lavoro da casa e, in ultima analisi, da qualsiasi luogo. Per consentire questa transizione, molta gente e molte aziende hanno comprato una quantità considerevole di nuovo hardware, soprattutto nel corso del 2020, che difficilmente verrà subito rimpiazzato o addirittura riacquistato. Considerando i ripetitori per cellulari in tale contesto, si pensa tendenzialmente a una parola: “resilienza”. Ora, se l’obiettivo consiste nel trovare qualcosa che assicuri la massima sensibilità in un mercato tendente al rialzo, è improbabile che i ripetitori per cellulari facciano al caso nostro, perché operano tendenzialmente nel quadro di contratti di locazione a lungo termine con flussi di cassa stabili e prevedibili. I ripetitori per cellulari non dovrebbero subire ampie oscillazioni verso l’alto o verso il basso in termini di valore percepito. I centri dati, d’altra parte, hanno beneficiato di un poderoso effetto trainante: ciò è quanto mai logico, poiché se la gente ha davvero acquistato tutto quell’hardware e ha poi iniziato a lavorare da casa, i centri dati dovevano avere la capacità per alimentare le varie applicazioni di produttività (come Zoom Video Communications o Microsoft Teams) tenendo testa all’enorme aumento della domanda.

Le valutazioni sono calate considerevolmente nel 2022

Non è detto che molti investitori seguano regolarmente diversi parametri di valutazione per il settore immobiliare, tanto meno i parametri che definiscono tipi specifici di sottostante del settore. Abbiamo dovuto individuare alcune delle statistiche che riteniamo adeguate per contestualizzare i vari tipi di beni immobili che ci apprestiamo ad approfondire:

  • per quanto riguarda i fondi comuni di investimento immobiliari (REIT) dei ripetitori per cellulari e i REIT coinvolti nell’ambito della logistica a livello industriale, consideriamo il prezzo / i fondi rettificati dalle operazioni (P/AFFO) nei 12 mesi successivi (NTM). I fondi rettificati dalle operazioni rappresentano un metodo di misurazione dei flussi disponibili per gli azionisti nel REIT, oltre a rendere l’idea delle potenzialità future dei REIT per la distribuzione dei dividendi;
  • per quanto riguarda i REIT dei centri dati, consideriamo il rapporto tra il valore dell’impresa e gli utili al lordo di interessi, tasse, svalutazione e ammortamento nei 12 mesi successivi (EV/EBITDA NTM).
  •  Come sempre, non esiste una misura perfetta e non c’è nulla di consultabile che possa indicare con certezza i rendimenti del prossimo futuro, ma crediamo che questi parametri offrano la visuale più obiettiva di questi segmenti specifici del mercato immobiliare.
  •  In sintesi, per i REIT dei ripetitori per cellulari:
  • la media negli ultimi 5 anni del multiplo P/AFFO NTM è stata pari a 24,7x, considerando tre operatori molto importanti, ciascuno dei quali è attualmente al di sotto di questo livello per quanto riguarda il parametro in questione, dopo aver cominciato il 2022 al di sopra di tale valore medio;
  • esaminando i REIT dei ripetitori per cellulari, per gli investitori è importante ricordare che molte delle operazioni relative ai flussi di cassa sottostanti costituiscono investimenti sul lungo periodo.
  •  In sintesi, per i REIT dei centri dati:
  • qualunque commento sui REIT per i centri dati andrebbe preceduto da quest’ammissione: chi aspetta che questi asset diventino “convenienti” in termini di valutazione dovrà forse attendere a lungo. Per quanto concerne due grandi operatori, notiamo che la media decennale del multiplo EV/EBITDA (NTM) è pari a 17,8x. Equinix e Digital Realty Trust hanno entrambi subito una flessione, ma i loro dati sono comunque superiori a tale media;
  • analogamente a quanto abbiamo detto sui ripetitori per cellulari, in quest’ambito vi sono forze indipendenti dal quadro macroeconomico che incrementano le valutazioni.

In sintesi, per i REIT logistici/industriali:

  • i REIT logistici/industriali vengono scambiati a premio, rispetto a tutti i REIT statunitensi, in termini di rapporto P/AFFO. Tuttavia, il dato corrispondente è sceso da un picco di circa 35,0x a poco più di 20,0x; la media nel decennio precedente si aggira su 25,0x;
  • i REIT logistici/industriali che implicano il ricorso alle tecnologie per consegnare più rapidamente le merci ai consumatori denotano ancora una domanda elevata e una grande attività. Crediamo che il multiplo del premio relativo al mercato costituisca un valore ragionevole e che il calo della valutazione da 35,0x a 20,0x circa rifletta il cambiamento delle aspettative di crescita economica.

In conclusione: vi sono possibilità di una forte crescita a un prezzo più ragionevole

Al 31 dicembre 2022, il CenterSquare New Economy Real Estate Index mostrava una crescita del 15,08% per la media ponderata dell’EBITDA. In quello stesso periodo il valore corrispondente di ampi benchmark immobiliari si attestava approssimativamente sul 7-8%; ne deduciamo che è in aumento l’interesse per la tecnologia nell’ambito immobiliare. Se è possibile mantenere questa crescita del premio rispetto al mercato più ampio (e crediamo che lo sia, specialmente in rapporto agli edifici per uffici e ai centri commerciali più vecchi), la correzione del 2022 potrebbe rappresentare un catalizzatore interessante per esaminare il settore più da vicino.

Bonus mobili ed elettrodomestici

Bonus mobili ed elettrodomestici

Fino al 2024 è disponibile il bonus mobili, l’agevolazione del governo che prevede una detrazione fiscale del 50% per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici. Nel focus tutte le informazioni utili su come ottenerlo, chi può usufruirne e le scadenze.

Tra le agevolazioni fiscali troviamo il Bonus mobili ed elettrodomestici. L’incentivo consiste in una detrazione Irpef del 50% per le spese sostenute negli anni 2022, 2023, 2024, da ripartire in dieci quote annuali fino a un massimo di 10mila euro per il 2022, di 8mila per il 2023 (tetto innalzato in Commissione bilancio della Camera nel corso dell’iter di approvazione della legge di bilancio), e di 5mila per il 2024. Vediamo nel dettaglio come si può richiedere e chi può usufruirne.

Bonus mobili ed elettrodomestici: che cos’è

Il bonus sull’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di classe A+ rientra in un piano di agevolazioni del governo rivolto ai lavori edilizi di immobili. Introdotto per la prima volta nel 2013, riguarda tutti coloro che hanno in programma di comprare nuovi arredi, per il quale sono previsti lavori di ristrutturazione. La legge di bilancio (legge n. 178/2020, art. 1, comma 58) ha confermato la proroga del bonus, apportando modifiche alla percentuale di detrazione delle spese. Una proroga che ha interessato non solo l’incentivo dedicato all’acquisto di mobili ed elettrodomestici ma anche gli altri bonus per la riqualificazione edilizia e l’efficienza energetica della casa.

La Legge di Bilancio 2022 (n. 234/2021, articolo 1, comma 37) ha delineato una proroga dell’incentivo fino al 2024 ma con una importante modifica. Dal 1° gennaio 2022 si continuerà ad usufruire del bonus con una detrazione del 50% ma la spesa ammissibile non sarà più di 16mila euro, come era fino al 31 dicembre 2021, bensì di 10mila euro euro per l’anno 2022, di 8mila per il 2023 e di 5mila per il 2024 (comprensive di spese di trasporto e montaggio).

A quanto ammonta l’importo detraibile

La novità, introdotta dalla Legge di Bilancio 2022, è che la detrazione del 50% può essere applicata fino a una spesa massima di 10mila euro; mentre per gli acquisti effettuati entro il 31 dicembre 2021 il tetto di spesa resta di 16mila euro. Non cambiano, invece, le condizioni e i requisiti che consentono di accedere al bonus.

L’incentivo è valido per l’acquisto, da parte di persone fisiche, di mobili ed elettrodomestici di classe non inferiore ad A+ (A per i forni), E (solo per lavatrici, lavasciugatrici, lavastoviglie), F (per frigoriferi e congelatori) in considerazione di un’attività di ristrutturazione edilizia di un immobile o su parti comuni di edifici residenziali.

La novità sul bonus mobili riguarda una proroga fino al 2024 mantenendo un’aliquota del 50% ma con un tetto di spesa ammissibile che da 16mila euro scende a 10mila euro per il 2022.

L’agevolazione è accessibile per coloro che effettuano acquisti effettuati entro il 31 dicembre 2024 e non può essere richiesta da tutti ma solamente da coloro che, dal 1° gennaio dell’anno precedente, hanno eseguito anche un solo intervento di ristrutturazione edilizia.

Il pagamento va effettuato attraverso bonifico o carta di debito o credito. Non sono invece consentiti assegni bancari, contanti o altri mezzi di pagamento.

Secondo quanto si legge nella manovra approvata in commissione, per gli anni 2023 e 2024 l’ammontare massimo sale a 8mila euro, incluse spese di trasporto e montaggio, rispetto ai 5mila previsti.

Chi può usufruire della detrazione

Il bonus mobili ed elettrodomestici può essere ottenuto solamente dal contribuente che usufruisce della detrazione diretta (così come anche per la cessione del credito o sconto in fattura) per interventi di recupero edilizio o ristrutturazione di un immobile. In sintesi se a sostenere le spese della ristrutturazione edile, per cui si è fatta richiesta di detrazione, è uno dei coniugi allora sarà lo stesso coniuge che potrà fare richiesta e accedere all’incentivo.
L’acquisto di mobili o di grandi elettrodomestici è agevolabile, poi, anche se i beni sono destinati ad arredare un ambiente diverso dello stesso immobile oggetto di intervento edilizio.
È anche possibile accedere più volte al bonus se il richiedente esegue i lavori di ristrutturazione su più immobili. Il tetto massimo di spesa indicato dal bonus, infatti, fa riferimento ad una singola unità immobiliare.
Come precisato anche dall’Agenzia delle entrate, il bonus mobili spetta anche a coloro che usufruiscono del Sismabonus per gli interventi di riduzione del rischio sismico e per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 del Superbonus (comma 4 articolo 119 del decreto legge 34/2020).

Quali sono gli interventi detraibili

Danno diritto alla detrazione una serie di interventi che indichiamo di seguito:

  • manutenzione straordinaria;
  • manutenzione ordinaria;
  • restauro;
  • risanamento conservativo;
  • ristrutturazione edilizia su singoli appartamenti e interi fabbricati;
  • ricostruzione o ripristino di un immobile danneggiato da eventi calamitosi;
  • ristrutturazione edilizia su parti comuni di edifici residenziali.

A titolo esemplificativo, rientrano tra i mobili agevolabili:

  • letti;
  • armadi;
  • cassettiere;
  • librerie;
  • scrivanie;
  • tavoli;
  • sedie;
  • comodini;
  • divani
  • poltrone;
  • credenze;
  • materassi
  • apparecchi di illuminazione che costituiscono un necessario completamento dell’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione.

Non sono agevolabili, invece, gli acquisti di porte, di pavimentazioni (per esempio, il parquet), di tende e tendaggi, nonché di altri complementi di arredo.

Per quanto riguarda gli elettrodomestici rientrano nel bonus quelli certificati come a risparmio energetico, quindi:

  • forni con classe energetica non inferiore ad A;
  • lavatrici, lavasciugatrici, lavastoviglie con classe non inferiore a E;
  • frigoriferi, congelatori con classe energetica non inferiore a F;
  • apparecchi per la cottura, piastre riscaldanti elettriche;
  • stufe elettriche, apparecchi elettrici di riscaldamento, radiatori elettrici;
  • forni a microonde;
  • ventilatori elettrici, apparecchi per il condizionamento.

Sono detraibili anche gli altri elettrodomestici che non sono provvisti di etichetta (come nel caso dei piani a induzione o dei forni a microonde che sono classificati come apparecchi elettrici che erogano un’intensità di potenza variabile, perché selezionata da chi lo utilizza). Nell’agevolazione si possono includere anche trasporto e montaggio dei beni acquistati.

Quali sono le scadenze da rispettare

Per usufruire dell’agevolazione è necessario che l’intervento di ristrutturazione edilizia sia iniziato non prima del 1° gennaio dell’anno precedente l’acquisto dei mobili.

La data di avvio potrà essere provata dalle eventuali abilitazioni amministrative o comunicazioni richieste dalle norme edilizie, dalla comunicazione preventiva all’Asl (indicante la data di inizio dei lavori), se obbligatoria. Per interventi che non richiedono comunicazioni o titoli abitativi, invece, la data di inizio lavori potrà essere dimostrata da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (articolo 47 del Dpr 445/2000), come prescritto dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 2 novembre 2011.

Come ottenere il bonus mobili

Per aver accesso al bonus è necessario indicare le spese da detrarre nella dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello Redditi persone fisiche) e, come già indicato, può accedere al bonus solamente il contribuente che ha fatto la detrazione diretta (così come cessione del credito o sconto in fattura) dei lavori di ristrutturazione dell’immobile.

Vige l’obbligo di tracciabilità del pagamento e, quindi, oltre al bonifico è ammessa la carta di credito o di debito. Non è consentito, invece, pagare con assegni bancari, contanti o altri mezzi di pagamento. Se il pagamento è disposto con bonifico bancario o postale, non è necessario utilizzare quello (soggetto a ritenuta) appositamente predisposto da banche e Poste S.p.a. per le spese di ristrutturazione edilizia.

La detrazione è ammessa anche se i beni sono stati acquistati con un finanziamento a rate. Unica condizione è che la società erogante il finanziamento paghi il corrispettivo con le stesse modalità prima indicate e il contribuente abbia una copia della ricevuta del pagamento.

I documenti da conservare sono:

  • l’attestazione del pagamento (ricevuta del bonifico, ricevuta di avvenuta transazione, per i pagamenti con carta di credito o di debito, documentazione di addebito sul conto corrente);
  • le fatture di acquisto dei beni, riportanti la natura, la qualità e la quantità dei beni e dei servizi acquisiti.

Ricordiamo che sussiste l’obbligo di invio della documentazione all’ENEA per ottenere le detrazioni su elettrodomestici. Tuttavia il ritardo nella trasmissione non comporta la perdita del diritto alle detrazioni (risoluzione n. 46/E del 18 aprile 2019).

Infine vanno comunicatati all’ENEA sia la classe energetica dell’elettrodomestico acquistato che la potenza elettrica assorbita (kW). Per maggiori indicazioni è possibile consultare sul sito ENEA la pagina dedicata alle detrazioni fiscali.

Gli elettrodomestici per cui è obbligatorio l’invio dei documenti sono i seguenti:

  • forni;
  • frigoriferi;
  • lavastoviglie;
  • piani cottura elettrici;
  • lavasciuga;
  • lavatrici.

A questo punto sorge spontanea una domanda: cosa succede se i mobili vengono comprati in due anni diversi? Il Fisco ha risposto così: si potrà usufruire della detrazione, ma senza raddoppiare il massimale. Il limite di spesa deve essere considerato al netto delle spese sostenute nell’anno precedente per le quali si è usufruito del bonus.

Acquisti online e pagamenti a rate

Sono agevolati anche gli acquisti online, basterà conservare, in caso di mancata fattura, la copia del pagamento e l’estratto conto della carta di credito, per poter risalire ai dati fiscali di chi effettua la spesa. Infatti, per poter sfruttare l’agevolazione, i pagamenti devono essere sempre tracciabili. Infine il bonus può essere richiesti anche per chi sceglie il pagamento a rate.

Bonus case green

Bonus case green

In arrivo con la legge di Bilancio la detrazione IVA del 50% per l’acquisto di abitazioni in classe A e B direttamente dal costruttore entro il 31 dicembre 2023

Ci siamo, pubblicata in Gazzetta la legge di Bilancio 2023 che porta con sé proroghe e novità.

Tra gli emendamenti presentati alla legge finanziaria c’è da segnalare, in particolare, un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio della Camera che prevede il bonus case green.

Per favorire la ripresa del mercato immobiliare, il comma 76 dell’art. 1 della legge di Bilancio 2023 inserito dalla Camera, consente agli acquirenti di immobili residenziali di classe energetica A o B, ceduti dalle stesse imprese costruttrici, di detrarre dall’IRPEF lorda il 50% dell’IVA versata per l’acquisto degli immobili entro il 31 dicembre 2023.

Ricordiamo che tale agevolazione era già stata introdotta dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 56, della legge n. 208/2015) relativamente agli acquisti effettuati entro il 31 dicembre 2016; successivamente è stata prorogata per gli acquisti effettuati entro il 31 dicembre 2017, ai sensi dell’articolo 9 del dl n. 244/2016; nonché man mano prorogata fino al 2018.

Come funziona il bonus case green

Il bonus case green è uno sconto fiscale a favore di chi intende acquistare abitazioni ad alta efficienza energetica direttamente dalle imprese costruttrici.

Hanno, quindi, diritto all’agevolazione le persone fisiche che comprano un’abitazione di classe energetica A o B, ai sensi della normativa vigente, direttamente dalle imprese costruttrici. Altri requisiti per ottenere il bonus verranno poi specificati nel decreto attuativo della misura che sarà pubblicato dopo l’entrata in vigore della legge di Bilancio 2023.

L’agevolazione consiste in una detrazione pari al 50% dell’imposta dovuta sul corrispettivo d’acquisto; ciò vuol dire che più cresce il prezzo della casa e dell’IVA, più il valore della detrazione aumenta.

La detrazione è ripartita in dieci quote costanti nell’anno in cui sono state sostenute le spese e nei nove periodi d’imposta successivi.

Requisito fondamentale sarà, quindi, l’acquisto di “unità immobiliari” adibite a residenza che siano di classe energetica A o B. In particolare:

  • la classe A prevede consumi sotto i 30 KWh/mq,
  • la classe B prevede, invece, consumi tra i 31 e i 50 KWh/mq.

Il bonus introdotto dal Governo vale solo per le case di classe energetica A o B acquistate dalle imprese costruttrici entro il 31 dicembre 2023.

Classi e risparmio energetico

A partire dal 2025 la certificazione energetica degli edifici è entrata a far parte della normativa italiana: l’attestato di prestazione energetica è stato introdotto con il dlgs 192/2005 e dai successivi interventi giunti a completamento con il dm 162/2015. L’obiettivo è stabilire quanto consuma un edificio e quale impatto hanno sull’ambiente detti consumi.

Tramite la certificazione, ad ogni edificio viene attribuita una classe, ovvero un punteggio misurato secondo precisi parametri strutturali e funzionali, per valutare quanto un edificio sia, per così dire, attento al risparmio energetico. Le classi attualmente sono 10 e vanno dalla classe A4 (massimo risparmio) alla classe G (minimo risparmio).

La classe energetica in sé non misura quanto l’edificio consuma, ma permette di conoscere qual è il livello di consumi energetici della casa. In poche parole, valuta la “bontà” dell’immobile dal punto di vista termico e di efficienza energetica.

Le classi di efficienza energetica degli edifici sono un importante parametro che serve per valutare, soprattutto in fase di acquisto di un immobile, i consumi energetici; non solo obbligatorie, ma anche utili. L’APE può essere rilasciato unicamente da un tecnico abilitato, chiamato certificatore energetico.

Certificare un edificio dal punto di vista energetico comporta delle responsabilità da parte del tecnico che dovrà assolvere a vari obblighi, tra cui produrre delle relazioni tecniche. Ti ricordo che si va incontro a delle importanti sanzioni sia nel caso di mancata presentazione di certificazione energetica, sia in caso di errori nella compilazione della stessa. Per stare tranquilli sotto vari aspetti, sia dal punto di vista tecnico che delle responsabilità soggettive, ti consiglio di affidarti ad un software APE, facilissimo da usare ed in continuo aggiornamento in base alle normative vigenti.

In attesa di ulteriori e più definite indicazioni in merito alla detrazione per acquisto case in classe A o B, è possibile consultare la guida ANCE “Gli incentivi fiscali per l’acquisto di abitazioni energetiche” che fornisce tutte le indicazioni per usufruire dei benefici fiscali.

Valutazione immobiliare

Valutazione immobiliare

UNA VALUTAZIONE GIUSTA E’ IL PRIMO CONTRIBUTO PER LA VENDITA

Ad ognuno di noi, sarà capitato almeno una volta, di trovarsi nelle condizioni di dover vendere un immobile di proprietà.

Nella maggior parte dei casi gli appartamenti sono avvolti da ricordi e da emozioni, in quanto sono i luoghi dove sono cresciuti i figli e dove si sono trascorsi momenti importanti che caricano gli stessi di un valore affettivo che purtroppo sul mercato immobiliare non possono essere quantificati.

La stima di ogni unità immobiliare è il primo passo da affrontare se si ha l’intenzione concreta di raggiungere l’obiettivo della vendita.

Si sconsiglia una quantificazione del valore fai da te, sia perché è difficile gestire il distacco sentimentale dalla casa e dai vostri ricordi e sia perché non siete professionisti del settore e pertanto non avete un bagaglio di competenze che possano darvi la possibilità di risalire al giusto prezzo di mercato.

Il rischio è che potreste rimanere con l’immobile invenduto per diverso tempo se chiedete un prezzo troppo alto e potreste ottenere un mancato guadagno se lo proponete ad un prezzo più basso del suo reale valore.

Quando si incontrano le difficoltà sopra indicate, le cause molto spesso sono riconducibili proprio ad una valutazione non corrispondente al suo reale valore sul mercato.

Proprio per questo motivo, è importante effettuare una valutazione del proprio immobile affidandosi ad un agente immobiliare esperto.

Per la mia esperienza una stima attendibile e il più realistica possibile, è il risultato di un sopralluogo effettuato sul posto osservando direttamente l’immobile in questione.

Questo comporterà un’attenta misurazione dell’immobile per individuarne la sua reale superficie sia calpestabile che commerciale, analizzare i valori al metro quadrato stimati dall’osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia dell’ Entrate (OMI) o dal Borsino Immobiliare,  verificare il suo stato di conservazione, il piano, l’esposizione, la luminosità e tutte le caratteristiche che possono essere utilizzate come parametro per arrivare ad una stima il più precisa e veritiera possibile relativamente al mercato immobiliare attuale.

Come avete potuto riscontrare, una buona valutazione, si ottiene attraverso uno studio minuzioso di quanto rilevato ed accertato, che associato all’esperienza dell’agente immobiliare è necessaria per regalarvi la sicurezza e la tranquillità di effettuare una vendita serena e senza problematiche.

SOLUZIONE IMMOBILIARE cerca sempre di essere professionale, concreta e trasparente, proprio per darti le informazioni corrette ed affiancarti nel percorso che affronterai per vendere la tua casa.

Effetti della guerra sul mercato immobiliare

Effetti della guerra sul mercato immobiliare

La guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia hanno e avranno conseguenze economiche pesanti per l’Italia e per l’Europa. Ci siamo chiesti nello specifico quali saranno le conseguenze per il mercato immobiliare e se il mattone possa essere ancora un investimento sicuro in uno scenario così incerto.

Le sanzioni alla Russia colpiscono nell’immediato la capacità di spesa dei ricchi russi, che non possono più effettuare acquisti nè possono più accedere ai propri beni immobili. In che modo tutto questo si ripercuoterà sul mercato?

Sul mercato immobiliare le conseguenze di quanto sta accadendo saranno inferiori rispetto a molti altri settori che probabilmente attraverseranno un periodo di crisi immediato, come quello energivoro ma anche quello del food o del turismo. Se da una parte le sanzioni sono uno strumento per garantire il rispetto della democrazia e della libertà dall’altra avranno su alcuni paesi che le hanno attivate pesanti ripercussioni economiche innescando una crisi economica e una sensibile riduzione del PIL. Il Real Estate risponde invece a logiche di mercato che si basano su cicli medio-lunghi, difficile vedere quindi una ripercussione nel breve termine.

Quali sono gli scenari a breve a lungo termine che si possono immaginare sul mercato immobiliare come conseguenza della guerra russo-ucraina?

È prevedibile un aumento dell’inflazione che potrebbe portare gli italiani a misure e scelte più prudenti, che a loro volta potrebbero ripercuotersi nel settore immobiliare. Però, chi dispone di medie/grosse somme, potrebbe invece optare per la scelta opposta: decidere cioè di investire in un bene rifugio (come appunto la casa) evitando la troppa liquidità o investimenti più rischiosi e più volubili. Oltre alla crescita dell’inflazione, un’altra conseguenza della guerra potrebbe essere l’aumento dei tassi dei mutui, che potrebbero quindi diventare di più difficile accesso. Potremmo quindi dire che c’è la possibilità di un rallentamento del mercato, ma è ancora troppo presto per stabilirlo.

Quali i riflessi della guerra in Ucraina sui vari segmenti immobiliari (residenziale, logistica, ricettivo)?

Come dicevo il mercato residenziale dovrà fare i conti con inflazione e probabile innalzamento dei tassi sui mutui, che potrebbero rallentare il mercato e rendere gli acquirenti più cauti. Dall’altro lato potrebbero essere in tanti coloro che decideranno di “rifugiare” i propri risparmi in un investimento che da sempre per gli italiani è considerato sicuro, ovvero quello della casa. La logistica è il settore che più è cresciuto durante la pandemia, difficile dire se subirà uno scossone da questa guerra, al momento non vi sono elementi per pensare possa esserci. Per quanto riguarda il ricettivo, settore già in crisi dopo due anni di pandemia, vi saranno conseguenze negative soprattutto date dalla mancanza del turismo russo che, in certe zone d’Italia, era fortemente presente.

Quali i riflessi sulle compravendite immobiliari (con particolare riferimento al residenziale)? A livello di prezzi e a livello di tassi sui mutui?

Ci aspettiamo un innalzamento dei prezzi dovuto al fenomeno inflattivo che sta interessando tutti i settori dell’economia, nonché un probabile innalzamento dei tassi sui mutui. Su quest’ultimo aspetto il nostro osservatorio ha già registrato su operazioni di finanziamento in corso di strutturazione da parte di investitori istituzionali, un incremento dei tassi e dei costi delle operazioni di finanziamento. Le operazioni di investimento da parte degli operatori internazionali, almeno quelle in corso, al momento sono state tutte confermate e senza particolari ricadute. Dobbiamo però precisare che il mercato dei capitali è molto veloce nei cambiamenti e, pertanto, mutazioni di politiche di investimento potrebbero esserci da un giorno all’altro senza che queste siano accompagnate da particolari anticipazioni.

Il segmento del real estate di lusso sarà particolarmente colpito?

I russi sono tra gli high spender più interessati al lusso italiano. Sicuramente ci sarà una diminuzione sia per quanto riguarda il residenziale sia il retail, ma al momento è impossibile calcolarne l’impatto. Tra i settori del lusso più colpiti ad oggi, dopo una forte ripresa della domanda negli ultimi due o tre anni, è quello dei posti barca per giga yacht sulle coste della Liguria e del Tirreno e dei relativi immobili di lusso per gli stessi armatori e/o per i loro equipaggi. Le recenti misure restrittive, i sequestri operati nei porti di Sanremo e di Imperia di giga yacht, porteranno gli armatori ad abbandonare i nostri “marina” a vantaggio di altre strutture nel mondo che saranno considerate più sicure come ad esempio, per il mediterraneo, la Turchia. La stessa cosa si registrerà nel settore degli immobili di lusso come ville e/o hotel di lusso in località turistiche esclusive, che potrebbero registrare una riduzione della domanda internazionale soprattutto da parte degli investitori russi e cinesi.

Quali i riflessi sul valore dell’immobiliare nuovo ed esistente?

L’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione avrà nell’immediato ripercussioni più sul nuovo che non sull’esistente, ma nel tempo colpirà entrambi i segmenti. Potrebbe quindi nel breve- medio termine calare la domanda sul nuovo in favore di un usato più economico soprattutto se quest’ultimo è stato oggetto di ristrutturazione in chiave energetica e sismica (Superbonus). Vedo a breve una ricaduta negativa nel settore degli investimenti e dello sviluppo immobiliare (green field) a causa dell’innalzamento dei costi delle materie prime e dei materiali per l’edilizia che comporterà un incremento dei costi di costruzione degli immobili di nuova costruzione.

Questo porterà a rivedere i budget e quindi i business plan delle operazioni di sviluppo che in alcuni casi potrebbero entrare in crisi per il venire meno delle condizioni di sostenibilità e di profittabilità dell’operazione. Il fenomeno, già presente sul mercato da alcuni mesi, è stato enfatizzato dalle misure restrittive messe in campo con l’esplosione del conflitto Russia Ucraina, e potrà comportare il default di quelle operazioni di sviluppo di nuove costruzioni acquisite più recentemente a valori che si posizionavano sulla forbice piu’ elevata dei prezzi e/o con una leva finanziaria troppo spinta.

L’investimento immobiliare può essere considerato un rifugio in una situazione come questa?

Assolutamente si. Le guerre portano sempre periodi di volatilità economica e di incertezza, la casa in questo senso è proprio visto come il bene rifugio per eccellenza. È ragionevole aspettarsi una domanda interna sostenuta dalla necessità di allocare parte dei cospicui risparmi di quegli italiani non colpiti da processi di impoverimento determinati dalla pandemia.

Mutui in rialzo

Mutui in rialzo

La BCE ha deciso per un nuovo rialzo dei tassi di mercato di un altro 0,5%. Si tratta del quinto aumento consecutivo da luglio 2022. Dall’attuale 2,5% il tasso sale quindi al 3%. Una decisione che farà crescere le spese per chi ha sottoscritto un contratto di mutuo a tasso variabile e per chi sta per stipulare un mutuo a tasso fisso. Sul mercato ci sono ancora offerte di mutuo a tassi interessanti, ma conviene muoversi prima del nuovo rialzo. Ecco cosa fare se stai cercando un mutuo o ne hai già uno.

I tassi decisi dalla BCE crescono ulteriormente; come peraltro annunciato da Christine Lagarde, la presidente della banca centrale europea, al Forum internazionale di Davos, sono ancora forti le tensioni sul tasso di inflazione e quindi la politica monetaria restrittiva deve continuare. Registriamo quindi il quinto aumento consecutivo del tasso di riferimento della BCE di altri 0,5 punti percentuali; certamente questo impatterà anche questa volta su chi ha un mutuo o deve richiederne uno. Dopo anni in cui sono rimasti sostanzialmente stabili (o negativi), nel 2022 i tassi di interesse decisi dalla BCE sono risaliti già a luglio dello 0,50%, a settembre di 0,75%, di altri 0,75% a ottobre e a dicembre di un altro 0,5%. Ed il 2023 inizia con un ulteriore aumento dello 0,5%. Il tasso quota ora 3%.

La Bce (la banca centrale europea) ha già iniziato un programma di politica monetaria restrittiva a partire dal 1° luglio, e questo ha comportato una riduzione della liquidità di mercato e una crescita dei parametri (il tasso di riferimento Bce era è zero dal 2016). Gli aumenti hanno effetto sugli altri tassi di interesse presi come riferimento anche per i mutui. L’IRS, il parametro di riferimento dei mutui fissi è sotto tensione da un po’ con valori triplicati rispetto a inizio 2022. Ed anche se a dicembre non è avvenuto ci si aspetta una crescita sostenuta dell’Euribor, il parametro di riferimento dei mutui indicizzati.

Cosa rischia chi ha un mutuo?

Lo scenario per chi ha un contratto di mutuo in essere varia a seconda del tipo di tasso. Il tasso applicato a un mutuo fisso o variabile dipende infatti dalla somma dello Spread (una percentuale decisa dalla banca) più un tasso di mercato che generalmente è l’Euribor per i mutui a tasso variabile e l’IRS per i mutui a tasso fisso.

Come limitare i danni sui mutui già accesi

Vista la situazione attuale, per limitare ulteriori spese in futuro è importante agire in fretta. Chi ha sottoscritto un mutuo a tasso variabile è ancora in tempo per valutare una surroga e passare così a un tasso fisso: si tratta ancora di una buona possibilità perché significa bloccare il valore della rata nei prossimi mesi. Nel nostro servizio di comparazione online si trovano ancora offerte sotto il 4%.
Ipotizzando ad esempio una surroga di un mutuo con residuo 150.000 euro, durata residua 15 anni le migliori offerte sono: Intesa San Paolo Mutuo Domus Fisso tasso 3,60%, , Credit Agricole Mutuo Base con un tasso del 3,75%, Credem Rimutuo fisso tasso 3,79%. Ad esempio, se il mutuo ha un tasso variabile pari ad euribor 1 mese più uno spread del 2% il suo tasso sarebbe oggi 4,17% con una rata quindi di 1132 euro. Scegliendo la migliore surroga oggi presente sul mercato la rata si ridurrebbe a 1080 euro e si avrebbe poi la certezza di averla sempre fissa senza ulteriori aumenti. Se i tassi fissi fossero troppo alti una soluzione potrebbe essere passare ad un tasso misto e quindi fissare la rate ad un certo valore massimo limitando i rischi del variabile; lo si può fare con un mutuo a rata protetta o un mutuo con cap.

Fare una surroga

Si tratta di un’operazione che permette di cambiare tutto del mutuo, rivolgendosi a un’altra banca. Potremmo quindi trasferire il debito in un’altra banca, variando così tipologia, tasso e durata del finanziamento. A rimanere fisso è il capitale residuo del mutuo che viene trasferito. Confronta le offerte di surroga sul nostro calcolatore e considera, infine, che se hai iniziato il mutuo già da qualche anno l’aumento della rata variabile potrebbe essere contenuto, quindi la surroga verso un tasso fisso potrebbe non essere così conveniente.

Rinegoziare il mutuo

In alternativa è possibile rinegoziare il mutuo con l’attuale banca, passando da un tasso variabile a un tasso fisso oppure a un tasso misto, rata protetta o con cap. Questa è un’operazione che non è un obbligo per la banca, generalmente è più possibile ottenerla dopo aver richiesto un’offerta di surroga da parte di un’altra banca. Tuttavia, con l’entrata in vigore della Finanziaria 2023 (e fino al 31 dicembre 2023) è stata ripristinata la rinegoziazione di Stato, una procedura che dà diritto ai clienti con mutuo che hanno determinati requisiti di rinegoziare il tasso del mutuo variabile per farlo diventare fisso senza l’ok della banca e a determinate condizioni uguali per tutti. In entrambi i casi parliamo di operazioni che non comportano spese extra, anche le spese del notaio necessario per la surroga sono a carico della nuova banca.

Fonte: Altroconsumo

Superbonus e altri bonus casa

Superbonus e altri bonus casa

La nuova aliquota dell’incentivo edile più utilizzato dello scorso biennio cambia le carte in tavola per chi decide di procedere con lavori sulla propria casa. Tra il nodo della cessione dei crediti e tempistiche incerte per la fine dei cantieri, scegliere altre opzioni potrebbe rivelarsi più conveniente

L’aliquota del Superbonus è ormai scesa dal 110% al 90%, come deciso dal governo Meloni che ha inserito il taglio della percentuale di sconto nel testo della Legge di Bilancio.

Il nuovo regime fiscale fa sì che in alcuni casi l’incentivo ai lavori edili più richiesto (e più discusso) dell’ultimo biennio non sia più la scelta più conveniente per chi decide di ristrutturare casa.

Bonus casa, nuove norme per i cantieri pù grandi: cosa sapere

Un dettaglio a cui fare attenzione. Non tutti sanno che chi affida lavori di importo superiore a 516 mila euro a imprese che non sono in possesso dell’attestazione Soa non può accedere ai bonus casa. Un discorso che vale tanto per il superbonus quanto per le altre agevolazioni, come il 50% ordinario per le ristrutturazioni, l’ecobonus, il sismabonus e l’appena prorogato bonus barriere architettoniche al 75%.

IL PARTICOLARE

Un dettaglio per il 2023 peraltro non giunto dalla manovra, ma risalente a qualche mese prima: per la precisione, al 21 maggio del 2022, quando è entrata in vigore la legge di conversione del Dl Ucraina (n. 21/2022) che prevede, all’articolo 10 bis, uno stretto collegamento tra i lavori agevolati e la Soa, cioè l’attestazione tipica degli appalti pubblici che oggi serve nelle opere di importo superiore ai 150 mila euro

CHI RILASCIA IL CERTIFICATO

A rilasciarla sono società vigilate dall’Anac che verificano diversi requisiti, come la capacità economica, le attrezzature e i dipendenti. Vengono inoltre controllati tanto i versamenti contributivi e previdenziali quanto le norme in tema di infiltrazioni mafiose. Le imprese improvvisate, di fatto, sono escluse da questo sistema, perché non hanno un curriculum sufficiente ad ottenere la Soa. E, per la proprietà transitiva, da adesso sono escluse anche dai cantieri più grandi che accedono alle agevolazioni

Il Superbonus nella sua versione originaria al 110% potrà ancora essere utilizzato soltanto in alcuni casi limitati e solo per un periodo di tempo ben definito (il 31 marzo, ad esempio, per i proprietari di villette che hanno già completato almeno il 30% dei lavori previsti entro lo scorso 30 settembre 2022)
La modifica normativa riapre quindi la strada all’utilizzo di altre agevolazioni ancora attive e diverse dal Superbonus, già confermate per il 2023 e il 2024. Si va dal bonus giardini, pensato per chi intende rinnovare gli spazi verdi di casa, al bonus barriere architettoniche

A questi si aggiungono il bonus ristrutturazioni, il sismabonus per chi vive nelle zone sismiche 1,2 e 3, e l’ecosismabonus, destinato a opere in parte pensate per la riqualificazione energetica di un edificio e in parte per la riduzione del rischio sismico.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Prima casa

Più tempo per sfruttare le agevolazioni “prima casa”. É una delle novità inserite nel decreto Milleproroghe. Il provvedimento, che era stato modificato al Senato, entrerà quindi definitivamente in vigore.

Nello specifico, una delle norme inserite a Palazzo Madama riguarda le agevolazioni che scattano al momento dell’acquisto di un’abitazione. Si tratta dell’imposta di registro e dell’Iva (nel caso di acquisto dal costruttore) normalmente dovute in misura proporzionale con aliquote rispettivamente del 9 e del 10 per cento; se però l’acquirente non possiede altri immobili le aliquote scendono al 2 e al 4.

LE REGOLE

Nel corso degli anni il fisco è venuto incontro ai contribuenti allargando le situazioni in cui scatta il beneficio. Così chi acquista e già possiede un’abitazione ha un anno di tempo per rivenderla, mentre ci sono diciotto mesi di tempo per trasferire la residenza nel Comune in questione, se già non vi abita (è una condizione richiesta per l’agevolazione).

Inoltre se si vende e poi si acquista entro un anno si conserva quanto già pagato sotto forma di credito di imposta; infine ci sono sempre dodici mesi di tempo per procedere all’acquisto di un altro immobile quando si è venduto e non si vuole perdere il precedente vantaggio. Rispetto a queste regole l’arrivo del Covid aveva
però creato una situazione particolare, perché era impossibile o comunque più difficile concludere le transazioni. Di qui la decisione di fermare l’orologio.

Questa sospensione è stata poi prorogata, anche dopo la fase più acuta della pandemia, fino al 31 marzo 2022. Ed è proprio da qui che ripartirà la norma del Milleproroghe: il nuovo e ulteriore congelamento sarà valido per il periodo dal primo aprile dello scorso anno fino al 30 ottobre 2023 e dunque dopo questo periodo si potranno usare i mesi che già non sono già stati “consumati” in precedenza, sempre nell’ambito dell’anno o dei diciotto mesi previsti. Ad esempio chi aveva comprato a ottobre 2019 accumulando poi circa cinque mesi fino alla prima sospensione, per raggiungere l’anno ne avrà ora a disposizione altri
sette a partire dal novembre di quest’anno: potrà arrivare insomma a maggio 2024.

Siccome però è possibile che l’Agenzia delle Entrate si sia già mossa per recuperare le somme corrispondenti ai benefici non più spettanti, è previsto che siano fatti salvi gli atti eventualmente già notificati; e se nel frattempo gli interessati avranno versato quanto dovuto, non sarà possibile ottenere il rimborso. Qualora invece dall’Agenzia delle Entrate non sia arrivato nulla, i contribuenti si potranno ritenere al sicuro: presumibilmente anche quelli che intanto in buona fede avevano
ritenuto di rinunciare al beneficio: ma sul punto servirà probabilmente un chiarimento specifico in sede di circolare applicativa.

L’ESTENSIONE

Sempre in tema di abitazioni il Milleproroghe, un altro emendamento approvato al Senato interviene sul fondo di garanzia per l’acquisto della prima casa, prorogando al 30 giugno (invece che al 31 marzo) l’estensione della garanzia pubblica fino all’80 per cento per l’acquisto di immobili da parte delle giovani coppie (con età inferiore ai 36 anni e Isee non superiore a 40 mila euro). Sul piano politico il nodo più delicato affrontato nella fase di conversione del decreto legge è
quello che riguarda le concessioni dei balneari.

Maggioranza e Governo hanno deciso di prorogare di un anno il termine per il completamento delle procedure di gara da parte dei Comuni, avviando nel frattempo un tavolo per ridiscutere tutta la materia. Materia che però è delicata sia sul fronte europeo (c’è in ballo una procedura di infrazione) sia su quello interno, visto che il Consiglio di Stato aveva già fissato il 31 dicembre 2023 come termine ultimo per l’espletamento delle procedure.

Affrancazione Roma

Affrancazione

La giunta di Roma, sotto il sindaco Gualtieri, ha finalmente approvato una delibera che consente ai proprietari di immobili in edilizia convenzionata, di vendere e affittare a costo di mercato, senza bisogno di avanzare alcuna istanza al Comune di Roma. Il 2022 si apre con una notizia storica in materia di affrancazioni del prezzo massimo di cessioni.

Roma conferma la delibera per l’affrancazione

La giunta comunale di Roma ha approvato la delibera il 21 dicembre 2021 per l’affrancazione del prezzo massimo di cessione, ovvero il prezzo massimo al quale è possibile vendere la proprietà del proprio immobile costruito in regime di edilizia convenzionata con il Comune. La conferma è arrivata il 1 febbraio 2022 dall’Assemblea capitolina.

La delibera fa riferimento alla Legge 108/2021 che modifica i costi e le modalità delle affrancazioni e delle trasformazioni del diritto di superficie in diritto di proprietà. Il Comune di Roma determina, inoltre, lo scioglimento da ogni vincolo per i proprietari di immobili edificati con convenzione stipulata da più di 20 anni che, quindi, non dovranno più presentare un’istanza di affrancazione se intendono vendere l’immobile.

Obiettivo principale: snellire e semplificare le procedure

L’obiettivo principale del Comune di Roma è quello di semplificare e snellire le procedure di presentazione delle istanze di affrancazione. Un simulatore di calcolo online, già disponibile dal mese di giugno 2020, permette di calcolare autonomamente gli importi per l’affrancazione. Dopo aver scaricato online la modulistica necessaria e aver fatto redigere una relazione da un tecnico abilitato, la domanda potrà essere presentata sotto forma di autocertificazione. La Legge 108/2021 impone ai comuni un termine di risposta che non superi i 90 giorni. Termine oltre il quale il comune di riferimento perderebbe un’eventuale causa promossa dal cittadino per i ritardi nella risposta.

Attenzione: la delibera non riguarda il diritto di superficie

La delibera, però, non riguarda coloro che possiedono un immobile che sia in diritto di superficie. È necessario trasformare il diritto di superficie in diritto di proprietà per poter presentare l’istanza. Nei progetti della nuova Giunta Comunale di Roma, tuttavia, è in programma anche l’ampliamento dei piani di zona trasformabili da diritto di superficie a diritto di proprietà. Nuove buone notizie sono, dunque, in programma.

Ad oggi i Piani Di Zona per i quali è possibile trasformare il diritto di superficie in diritto di proprietà sono i seguenti:

  • Acilia (PdZ 10V)
  • Casal Boccone (PdZ C14)
  • Casale del Castellaccio (PdZ D4)
  • Casilino (PdZ 23)
  • Dragoncello (PdZ 11V)
  • Laurentino (PdZ 38)
  • Palocco (PdZ 53)
  • Serpentara II (PdZ 5)
  • Spinaceto (PdZ 46)
  • Tor De Cenci (PdZ 47 48)
  • Torraccia (PdZ C1)
  • Torresina (PdZ B32)
  • Torrevecchia II (PdZ 80)
  • Val Melaina (PdZ 6)

Cessione del credito: che cosa significa

In alternativa alla fruizione diretta (o allo sconto in fattura), privati e imprese possono optare per la cessione a terzi del credito di imposta corrispondente alla detrazione spettante. In altre parole il contribuente non sfrutta il beneficio fiscale come detrazione utilizzabile in dichiarazione dei redditi, bensì come credito di imposta in compensazione da cedere a terzi. Per accedere alla cessione del credito bisogna ottenere sia il visto di conformità da parte di un Caf o di un professionista abilitato sia l’asseverazione di un tecnico che confermi la congruità delle spese.

Quali detrazioni si possono cedere e fino a quando

Gli interventi per i quali si può esercitare l’opzione della cessione del credito fino al 31 dicembre 2024 sono:

  • Riqualificazione energetica
  • Ristrutturazione edilizia (Bonus ristrutturazione)
  • Recupero o restauro delle facciate (Bonus facciate)
  • Installazione di impianti fotovoltaici
  • Installazione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici
  • Recupero del patrimonio edilizio (realizzazione di box o posti auto pertinenziali)

Fino al 2025:

  • Superbonus 110% per lavori trainanti e trainati
  • Cessione del credito di imposta: le novità del 2022

Facciamo subito una premessa: le novità introdotte quest’anno ai fini di contrastare le frodi non riguardano direttamente il consumatore. Questi infatti ha, come prima, la possibilità di cedere il credito ai fornitori che realizzano l’intervento, a terzi (parenti, società, enti o professionisti) o a istituti di credito e intermediari finanziari.

Ciò che cambia sono i passaggi successivi: il credito può essere ceduto altre 2 volte, ma solo a banche, intermediari finanziari o imprese di assicurazione. In altre parole, il decreto legge “Misure urgenti per il contrasto alle frodi in materia edilizia e sull’elettricità prodotta da impianti da fonti rinnovabili” ha stabilito che in tutto il credito si può cedere 3 volte: la prima è “libera”, mentre la seconda e la terza possono riguardare esclusivamente le banche, gli intermediatori finanziari e le imprese di assicurazione.

La misura si è resa necessaria perché l’Agenzia delle Entrate aveva riscontrato numerose irregolarità connesse alla creazione di crediti d’imposta inesistenti: in un’audizione al Senato di febbraio 2022, il direttore Ernesto Maria Ruffini ha dichiarato che l’attività antifrode ha intercettato crediti d’imposta inesistenti per un ammontare di ben 4,4 miliardi di euro.

Stop alle cessioni parziali del credito

Un’altra delle novità introdotte nel 2022 riguarda le cessioni parziali del credito, che dal 1° maggio non saranno più possibili. A partire da quella data, una volta informata della scelta di utilizzare l’opzione della cessione del credito da parte del contribuente, l’Agenzia delle Entrate assegna un codice identificativo univoco alla somma ceduta, che diventa di conseguenza “indivisibile”, ovvero non sono più ammesse le cessioni parziali.

Esempio pratico di cessione del credito

Per capire esattamente come funziona la cessione del credito, vi forniamo un esempio pratico. In questo modo capirete anche qual è il vantaggio di questa opzione: permette di monetizzare meno, ma subito. Con la fruizione diretta delle detrazioni fiscali, infatti, si recupera tutto il valore nominale, ma in un arco di tempo che varia fra i 5 e i 10 anni, mentre scegliendo la cessione del credito avremo indietro l’80% del valore nominale.[/av_one_third]

Mettiamo di avere speso 44.000 euro per lavori che ci consentono di usufruire del Bonus ristrutturazione al 50%: avremo diritto a una detrazione pari a 22.000 euro che verrà suddivisa in 10 rate da 2.200 euro ciascuna, al termine delle quali, se si considera l’inflazione all’1%, si saranno recuperati circa 20.800 euro. Cedendo il credito di imposta, invece, avremo subito indietro 17.600 euro.

Come si cede il credito di imposta

La comunicazione relativa alla cessione del credito va inviata al sito dell’Agenzia delle Entrate entro il 16 marzo dell’anno successivo a quello in cui sono state sostenute le spese che danno diritto alla detrazione. Lo può fare direttamente il beneficiario della detrazione oppure ci si può rivolgere a un Caf o a professionisti abilitati. Nel caso del credito relativo al Superbonus 110%, al Bonus facciate e, in generale, per spese superiori ai 10mila euro la comunicazione deve essere fatta dal Caf o da un tecnico abilitato all’apposizione del Visto di Conformità.

La procedura per scaricare il modello da inviare all’Agenzia delle Entrate è semplice: una volta effettuato il login tramite Spid, si seleziona “servizi per”, “comunicare” e quindi “comunicazione opzione cessione/sconto”. A questo punto si aprirà il modello da compilare telematicamente con le relative istruzioni

Entro 5 giorni dall’invio della comunicazione si riceve la ricevuta di conferma o di scarto della richiesta.

A chi conviene la cessione del credito

Premesso che la cessione del credito è l’unica opzione (insieme allo sconto in fattura) per le partite Iva forfettarie e per tutti coloro che percepiscono solo redditi soggetti a tassazione separata o imposta sostitutiva, in generale possiamo affermare che conviene agli incapienti, cioè ai soggetti che non sono tenuti a pagare l’Irpef perché hanno un reddito troppo basso, o a chi, pur pagando l’Irpef, non ha sufficiente capienza fiscale e si troverebbe impossibilitato a fruire dei bonus edilizi come detrazione.

 

Fonte: Immobiliare.it

Come riconoscere un annuncio truffa

Abbiamo cura della sicurezza dei nostri utenti, per questo controlliamo sistematicamente gli annunci prima che vengano pubblicati sul sito e collaboriamo attivamente con la Polizia Postale.

Come riconoscer un annuncio truffa

  • Gli annunci sono spesso corredati di foto in alta qualità o rendering, utilizzate anche su altri siti italiani o stranieri per promuovere immobili diversi.
  • La casa, a parità di caratteristiche e condizioni, ha un prezzo nettamente inferiore rispetto a quello di mercato.
  • Il truffatore dichiara spesso di trovarsi all’estero o di essere impossibilitato a incontrare l’utente per una visita di persona all’immobile.
  • Il truffatore si fa contattare principalmente per email e quasi mai rende visibili i suoi numeri di telefono. Nei pochi casi in cui pubblica l’annuncio con un contatto telefonico, non risponde alle chiamate ma si fa lasciare dei messaggi per poi richiamare, spesso da numeri anonimi o esteri.
  • Il truffatore chiede di ricevere i soldi della caparra tramite carte prepagate, vaglia o servizi di trasferimento di denaro, raramente tramite mezzi di pagamento tracciabili (bonifico).
  • Nel caso di immobili in locazione, il truffatore riferisce spesso di aver pubblicato il suo annuncio anche su Airbnb e di voler stipulare un contratto tramite quel portale, per riscuotere la caparra e inviare solo successivamente le chiavi dell’appartamento. Insieme al contratto, che non ha alcun valore, invia a garanzia anche dei documenti di identità che dice di essere suoi ma che sono sempre falsi o rubati. Questo gli serve a convincere l’interessato a versare la caparra (tramite mezzi spesso non tracciabili) per poi spedire le chiavi di casa, che ovviamente non arriveranno mai.

A cosa fare attenzione:

  • Non comunicare mai i tuoi dati personali o altre informazioni sensibili

Diffida di chi al telefono ti chiede il numero di conto corrente, carta di credito, carta ricaricabile oppure altre informazioni relative ai tuoi dati personali: nessuno di questi è necessario in fase di trattativa.

  • Fai attenzione ai prezzi eccessivamente bassi

Diffida delle proposte con un prezzo eccessivamente basso rispetto a quello di mercato.

  • Non spedire denaro in anticipo e non effettuare pagamenti senza prima aver visionato l’immobile

Non inviare soldi in anticipo, fissa prima un incontro di persona con l’inserzionista per visionare insieme l’immobile. Spesso il truffatore declina tale richiesta affermando di trovarsi all’estero o di essere impossibilitato a presentarsi all’appuntamento.

  • Non utilizzare mai servizi di trasferimento di denaro poco sicuri

Diffida di chi propone pagamenti tramite carte prepagate, vaglia o servizi di trasferimento di denaro come MoneyGram o Western Union: tali sistemi offrono protezioni minime rispetto ad assegni o bonifici, che invece sono tracciabili. Fai inoltre attenzione se ti viene proposto un servizio di deposito a garanzia: ne esistono diversi online la cui affidabilità e attendibilità è assai scarsa.

  • it non funge da intermediario e non ti chiederà in nessun caso soldi per caparre

Alcuni truffatori potrebbero presentarsi come Servizio Clienti di Immobiliare.it. In nessun caso Immobiliare.it ti chiederà di inviare soldi per caparre o anticipi relativi alla vendita o all’affitto di immobili.

  • Se hai pubblicato un annuncio non farti versare caparre senza prima aver conosciuto di persona chi è interessato al tuo immobile

Alcuni truffatori si dimostrano interessati agli immobili pubblicati e anche molto frettolosi di volerli bloccare. Per questo versano caparre, senza neppure aver visitato la casa, con assegni scoperti o da conti correnti vuoti, fingendo poi di aver ecceduto col denaro e chiedendo indietro la rimanenza su carte prepagate o tramite mezzi di pagamento non sicuri.

Non accettare mai soldi in anticipo da chi non ha visto l’immobile, da chi evita incontri di persona ed è restio a inviare i suoi documenti di identità.

Fonte: Immobiliare.it